mercoledì 17 dicembre 2008

AUGURI PER UN SERENO NATALE



Nella solennità del santo Natale di Gesù Cristo siamo invitati a contemplare "la bontà di Dio, nostro salvatore, e il suo amore per gli uomini” (Lettera a Tito 3,4). Dio nasce piccolo e indifeso, bisognoso di tutto e di tutti perché è amore, per non incutere alcuna paura all’uomo e dargli ardimento di amare Dio con semplicità e disinvoltura. La passione d’amore di Dio per gli uomini l’ha spinto a nascere, a morire e a risuscitare per tutti. La fede cristiana è accogliere questa carne di Dio che si è fatto solidale con la nostra debolezza: “Ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne è da Dio (Prima lettera di Giovanni 4,2). E’ questa stessa carne che ci rivela il Dio che nessuno ha mai visto (cf. Vangelo secondo Giovanni 1,18). Gesù ha detto: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Vangelo secondo Giovanni 14,9).

Nel secondo capitolo del Vangelo di Luca, l’evangelista presenta la potenza umana dell’imperatore Cesare Augusto che si esalta, si dilata e raggiunge il massimo in un censimento mondiale, il primo della storia, e la potenza di Dio che si umilia, si restringe e si concentra in un neonato. Se il Figlio di Dio fosse venuto con potenza, non sarebbe stato ignorato e rifiutato; tutti l’avremmo accolto o per amore o per forza. Ma non sarebbe stato la rivelazione del vero Dio che è amore, ma di un dio falso, di un idolo. Il suo segno di riconoscimento è un neonato: così la caratteristica di Dio è la piccolezza. Certamente, con questa scelta Dio si è esposto al rifiuto. E’ la vulnerabilità dell’amore che rispetta la libertà dell’uomo. Ma Dio-Amore non poteva manifestarsi che attraverso le scelte proprie dell’amore: l'umiltà, la piccolezza, la povertà, il servizio.

Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventasse Dio.

Buon Natale di Dio che diventa uomo e dell'uomo che diventa Dio.

padre Lino Pedron e padre Fernando Armellini


P.S. - I posts su "IL CREDO O SIMBOLO DEGLI APOSTOLI", proseguiranno dopo l'Epifania.

venerdì 12 dicembre 2008

5 - Credo in un solo Dio


"Credo in un solo Dio" non è una dichiarazione che ci lascia beatamente tranquilli: è un grido rivoluzionario, è una dichiarazione di guerra.
"Credo in un solo Dio e rifiuto tutti gli idoli. Rifiuto le divinità davanti alle quali si prostra e si prostituisce il mondo: il potere, il sesso, il dio quattrino che compra quasi tutto e quasi tutti, le filosofie, le ideologie...".
Nell’impero romano era necessario adorare l’imperatore e altre divinità. I primi cristiani erano, quindi, perseguitati come atei. S. Giustino martire (+165 d.C.) affermava: "È vero: dato che non crediamo agli idoli dei pagani, siamo gli atei di questi presupposti dèi".
"Credo in un solo Dio" significa rifiuto di ogni potere assolutistico, sia civile che religioso: rifiuto di atteggiamenti servili davanti ai grandi e ai potenti. Maria ha proclamato: "Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi" (Lc 1,51-53). Dobbiamo abbattere la selva delle false divinità che umiliano la nostra dignità umana e bloccano la crescita della vera libertà. Solo l’adorazione dell’unico Dio è liberante. Servire Dio è regnare!
La professione di fede in un solo Dio costituisce un programma d’incalcolabile importanza politica. Da una parte conferisce a ogni uomo un carattere assoluto a causa del suo riferimento personale a Dio; dall’altra relativizza tutte le società politiche e religiose: esse, o si radicano in questo Dio unico e lo servono, o non sono nulla e non possono pretendere nulla.
Senza l’adorazione cieca di molti cristiani per il potere di Hitler, il nazismo e l’ultima guerra sarebbero stati impossibili. Sarebbe bastato che tutti i cristiani avessero detto in spirito e verità: "Credo in un solo Dio!". Sonnecchiare sul proprio Credo porta a gravi conseguenze. Il Credo non è un testo da declamare o da abbellire coi ghirigori del canto gregoriano, della polifonia o della musica moderna: bisogna viverlo.
Il potere è servizio; diversamente è un idolo che corrompe l’uomo e la società.
Il sesso è a servizio dell’amore e della vita; non è un bene di consumo o uno svago. Sganciato dal progetto e dalle finalità affidategli da Dio, diventa il dio-sesso. Ha molti adoratori!
L’anti-dio per eccellenza è il denaro. Gesù ha cacciato l’anti-dio dalla casa di Dio (Mt 21,12-13) perché Dio non è in vendita. Nella casa di Dio non c’è nulla da vendere e nulla da comperare: Dio è amore e gratuità. "Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure s’affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e mammona" (Lc 16,13). "L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali" (1Tm 6,10). Cristo fu tradito per denaro (Mc 14, 10-11) e l’affare continua!
A questo punto forse sentiamo già qualcosa che stride dentro di noi. Ci stiamo accorgendo di essere superficiali, di essere "gente di poca fede" (Mt 6,30). Ci verrebbe spontaneo cambiare il "Credo in un solo Dio" in "Credevo di credere in un solo Dio". Sarebbe un atto di umiltà doveroso e commovente, ma non può diventare accomodante. Il Credo è il simbolo, la parola di riconoscimento, la carta di identità dei cristiani. Più ancora, il Credo è, a grandi linee, lo schizzo della vera immagine di Dio e della storia della salvezza: non può essere cambiato. Dobbiamo convertirci al Credo se vogliamo essere cristiani credenti e credibili.

giovedì 4 dicembre 2008

4 - Ma quale Dio?


Solo Dio può parlare rettamente di Dio. Per conoscerlo bisogna ascoltare la sua parola, leggere e rileggere la Bibbia e soprattutto il Vangelo.
È necessario che prendiamo le debite distanze da un certo linguaggio su Dio. È il linguaggio, per intenderci, di certi catechismi del passato: quello delle formule astratte e magniloquenti.
Allora, era tutto falso? No, non era falso. Ma Dio non parla in questo modo di se stesso. Un simile linguaggio aveva poca presa allora e ora non ne avrebbe affatto.
Il Concilio Vaticano II ci ha invitati a cambiare linguaggio, "a sempre ricercare modi più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini della nostra epoca, perché altro è il deposito o le verità della fede, altro è il modo in cui vengono enunciate, rimanendo pur sempre lo stesso il significato e il senso profondo" (Concilio Vaticano II, Gs 62).
L’umanità sta vivendo la più grande metamorfosi della sua storia. Una metamorfosi mai vista; non la prima, ma la più macroscopica. Lo stesso Dio vuole essere presentato a questa umanità concreta con formule nuove, o meglio, con le formule antiche che lui stesso ha usato, ma ripulite dalle incrostazioni che i secoli, le filosofie e le teologie vi hanno depositato. La Chiesa, se vuole che la sua dottrina sia compresa, non ha altro mezzo che la cultura e le forme di pensiero del tempo e del luogo in cui essa vive.
In passato la filosofia greca di Platone e di Aristotele, la filosofia ancella della teologia, ha fatto spesso da padrona. Così certe nostre idee su Dio, che crediamo cristiane, in realtà spesso sono un modo di vedere della filosofia pagana che abbiamo sovrapposto a quanto ci dice la Bibbia e soprattutto il Vangelo.
Il papa Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II (11 Ottobre 1962) afferma: "Lo scopo principale di questo Concilio non è la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della Chiesa... Per questo non occorreva un concilio. Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione... lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze; è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata. Bisognerà attribuire molta importanza a questa forma e, se sarà necessario, bisognerà insistere con pazienza nella sua elaborazione; e si dovrà ricorrere ad un modo di presentare le cose, che più corrisponda al magistero, il cui carattere è preminentemente pastorale".
Per farla breve, noi crediamo nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, nel Dio di Gesù Cristo: un Dio vivente, non il dio immobile dei filosofi; un Dio di ieri, di oggi, che va verso un domani, un Dio storico, che vive la storia con noi, in mezzo a noi, sulla nostra terra di uomini. Dio non è "altrove". Non esiste un "altrove". C’è solo il "Dio con noi", l’Emmanuele. Il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo. "Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto... Chi ha visto me ha visto il Padre... Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Gv 14,7-11). Gesù Cristo è l’unico, in senso assoluto, che può farci conoscere il vero Dio. "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27).
Noi crediamo, appunto, in questo Dio che Gesù ci rivela, in questo Dio imprevedibile e sconvolgente: questo è il Dio che dobbiamo annunciare ai nostri figli e al mondo. Non dobbiamo quindi aver paura di cambiare linguaggio, liberandoci dalle filosofie del passato senza incappare in quelle del presente.

giovedì 27 novembre 2008

3 - "Dio nessuno l’ha mai visto" (Gv 1,18)


Di fatto, la ragione umana non è arrivata a costruire una rigorosa dimostrazione dell’esistenza di Dio. Non possiamo parlare di "prove", ma solamente di "vie" verso Dio, di accostamenti a Dio attraverso la ragione. Dio è discreto e non vuole imporsi. L’esistenza di Dio non è scientificamente evidente e documentabile come il giorno e la notte. No, l’esistenza di Dio non è evidente. E ancor meno la sua natura. "Dio nessuno l’ha mai visto" (Gv 1,18).
Dio abita in una luce inaccessibile; nessuno fra gli uomini l’ha mai visto né può vederlo (1Tm 6,16).
Il regista Clouzot diceva "Ciò che mi aiutò a credere fu l’assenza di prove dell’esistenza di Dio. Dio nascosto. Per me, questa assenza di prove è la prima prova. Infatti, se Dio rispetta l’uomo, deve voler da parte nostra un’adesione libera; non ci deve porre nella necessità di credere in lui". Dio o è invisibile o non esiste. Invisibile come il mio spirito, il mio amore, il mio principio vitale, ma infinitamente più grande, di quella grandezza che non entra nelle dimensioni misurabili. Sì, Dio è un Dio nascosto perché è Dio!
Ma questo Dio invisibile non potrebbe essere una bella illusione?
S. Giovanni, dopo la frase: "Dio nessuno l’ha mai visto" soggiunge: "proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1,18).
È vero, non abbiamo mai visto Dio. Ma se crediamo, è perché Dio ha parlato, ha interpellato l’uomo per dirgli la propria esistenza, per rivelargli il proprio nome, per svelargli il suo amore, i suoi progetti. Dio fa irruzione nel mondo degli uomini per amore. Parla ad Abramo, a Mosè, a tutto il popolo d’Israele. E infine parla nell’umanità visibile, tangibile di Gesù di Nazaret: Dio fatto uomo, annunciato nelle Scritture, incarnato nella storia, duemila anni fa, in Palestina, morto sotto Ponzio Pilato, risorto e glorificato, sempre presente nella Chiesa e sempre operante nel mondo. Ecco la fonte del cristianesimo.
Ma non ci sono solo i cristiani a credere in Dio. Sotto una forma o l’altra tutto il mondo conosciuto ha affermato l’esistenza di Dio. Oggi egli continua ad animare un dibattito sempre acceso tra chi lo afferma e chi lo nega: è sempre uno dei temi più ricorrenti e insistenti. Rari sono coloro che rifiutano una credenza senza rifugiarsi in un’altra. Non ci si scarica troppo facilmente di Dio, tanto numerose sono le ragioni per credere che c’è un Dio.

giovedì 20 novembre 2008

2 - Io credo in DIO


Tutti sono credenti, tutti un po’ increduli. La frase famosa "credo solo quello che vedo" è falsa e contraddittoria. Quando si vede non c’è più bisogno di credere, si constata. Ma non si può vedere tutto e constatare tutto. Ecco allora la necessità della fede: si crede perché lo dice uno che ha visto, sentito, constatato. E non è possibile vivere diversamente. Si crede alla moglie, al giornale; si crede in Dio, nel Vangelo...
Certo, ognuno dice la sua. "Dio esiste, io l’ho incontrato" dice il credente. "Dio non esiste, non l’ho mai incontrato" dice l’altro. Ora i cristiani affermano che Dio si è manifestato, che continuamente si rivela, parla, risponde alla domanda che arde nel cuore dell’uomo. È la rivelazione: parola di Dio all’uomo per farsi conoscere dall’uomo.
Dio si rivela nella creazione. Tutto l’universo delle cose visibili è segno e manifestazione di intelligenza, di bontà, di amore. Per molti tutto questo dà origine a una fede rudimentale: la fede di chi crede a Dio, ossia crede che Dio esiste e che deve essere adorato.
Dio, innamorato dell’uomo sua creatura, ci parla soprattutto attraverso la sua presenza nella storia umana. La rivelazione giudeo-cristiana completa lo svelarsi di Dio al mondo: Dio è Qualcuno. La storia lo tocca con mano nel corpo stesso di Gesù Cristo nel quale abita tutta la pienezza della divinità (Col 2,9). Di conseguenza non si tratta più di credere a Dio, alla sua esistenza, ma di credere in Dio che parla e si rivela. Per credere a qualcuno basta vederlo o sentirne parlare. Per credere in qualcuno è necessario che egli ci ami e che noi lo contraccambiamo almeno un poco.
Chi vuole conoscere le tappe di questa presenza di Dio nella nostra storia umana apra la Bibbia che è il libro di famiglia in cui Dio e l’uomo raccontano la storia travagliata del loro amore. Dio, come ognuno che ama veramente, agisce più che parlare, fa quello che dice e dicendo spiega ciò che fa. Tutto il suo agire è amore e tenerezza. Basta che il cuore dell’uomo si apra a questa tenerezza divina, ed è subito la fede.
La fede in Dio non è un fatto che si impone universalmente e obbligatoriamente. Di fatto esistono credenti e non credenti e i loro rapporti non sempre sono improntati a rispetto e ad amore vicendevole. Molti credenti pensano che ogni persona onesta può conoscere Dio senza esitazione e difficoltà e concludono dicendo che gli atei sono o degli stupidi o dei disonesti. A favore della loro affermazione citano la parola di Dio e il magistero della Chiesa. "In realtà l’ira si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa" (Rm 1,18-21). "Il sacro concilio professa che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della umana ragione dalle cose create" (Concilio Vaticano II, DV 6).
Ma bisogna fare i conti con la mediocrità dei credenti e dei cristiani in particolare: i credenti e le loro Chiese presentano spesso un volto di Dio deformato e inaccettabile. Lo dice il magistero della Chiesa: "Senza dubbio, coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l’imperativo della loro coscienza, non sono esenti da colpa; tuttavia in questo campo, anche i credenti spesso hanno una certa responsabilità. Infatti l’ateismo deriva da cause diverse e tra queste va annoverata anche una reazione critica contro le religioni e, in alcune regioni, proprio anzitutto contro la religione cristiana. Per questo nella genesi dell’ateismo possono contribuire non poco i credenti, in quanto per aver trascurato di educare la propria fede, e per una presentazione fallace della dottrina, o anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione" (Concilio Vaticano II, Gs 19).
Bisogna concludere che la fede nell’esistenza di Dio è possibile. Di fatto molti ci sono arrivati. Altri purtroppo no, per motivi che forse solo loro conoscono. Non tocca a noi giudicare. "Dio giudicherà i segreti degli uomini" (Rm 2,16). "Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio... Ognuno renderà conto a Dio di se stesso. Cessate dunque dal giudicarvi gli uni gli altri; pensate invece a non essere causa d’inciampo o di scandalo al fratello" (Rm 14,10-13).
Forse noi abbiamo sulla coscienza qualche ateo perché non siamo stati credenti credibili.

giovedì 13 novembre 2008

1 - Introduzione al Credo o simbolo degli apostoli


- Che cosa credono, esattamente, i cristiani?
- Qual è il contenuto fondamentale della loro fede?
- La fede è solo un fascio di credenze o l’adesione personale e vitale a Dio?
- Qual è la buona notizia (Vangelo) che dobbiamo vivere e predicare agli uomini d’oggi?
- Possiamo continuare a parlare del Dio vivo usando un linguaggio morto che l’uomo del XXI secolo non comprende più?


È necessario che esprimiamo nuovamente la fede di sempre con le immagini, le idee e il linguaggio familiari alla gente del nostro tempo, con le parole di tutti i giorni: questo significa predicare il Vangelo ad ogni creatura (Mc 16,15) perché tutti sentano annunciare nella propria lingua le grandi opere di Dio (At 2,11).
Occorre concentrare il contenuto della fede, annunciare il nocciolo centrale del cristianesimo: Dio, Gesù Cristo, lo Spirito santo.
Dio, Gesù Cristo, lo Spirito santo sono persone. La fede quindi non è un elenco di affermazioni, di dogmi; è l’incontro con Qualcuno, il legame personale e vitale con Qualcuno, l’introduzione in un mistero.
Il mistero non è una porta chiusa contro la quale sbattiamo la testa, ma è l’apertura su una realtà talmente grande che non riusciamo a comprendere e a godere pienamente, una realtà inesauribile. L’uomo è immerso nell’infinito oceano del mistero di Dio: "In lui, infatti, viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (At 17,28).
Dio è Qualcuno: questa è la migliore traduzione dell’"Io credo in Dio".
Dio ha voluto farci sapere che egli è Qualcuno che vive, che agisce, che ama. Sappiamo che questo Dio è con noi sempre (Mt 28,20) e che noi saremo sempre con lui (Gv 14,2-3; 1Ts 4,17).
Su questo Qualcuno possiamo impostare uno studio scientifico: ne risulterà un dossier esatto e completo. Ma di questo Qualcuno possiamo fare anche l’incontro personale, un incontro d’amore fino alle estreme conseguenze.
Trattandosi di Dio, nel primo caso si fa dell’istruzione religiosa e della teologia; nel secondo, scopriamo un amore, un amore attuale, per l’oggi, per la vita, per la morte, per l’eternità.
Non serve fare studi su Dio, fare bilanci sui contenuti della fede se prima non abbiamo incontrato nella fede questo Qualcuno che si manifesta nella nostra vita, nella nostra storia, nella nostra esperienza di uomini; Qualcuno che risponde anche all’incredulo nella sua inquietudine, al sofferente nel suo tormento; Qualcuno che ama tutti per primo (1Gv 4,19).
Un Dio dei filosofi e dei sapienti, un Dio teorico e lontano, fuori dalla storia e dall’esperienza umana, non esiste. E se anche esistesse non ci interesserebbe.
Certo, esiste una scienza della religione cristiana, ma la fede è più che una scienza: è una vita. Esiste una dottrina cristiana, ma è una dottrina di vita. Esiste una conoscenza, ma è la conoscenza di Qualcuno. Pertanto possiamo istruirci solo seguendo un metodo di vita, che parta dalla vita e vada alla vita per viverne concretamente.
Un amore nasce e cresce non accumulando conoscenze su qualcuno, ma approfondendo la conoscenza di qualcuno, frequentandolo spesso e a lungo. Frequentare Dio, ascoltare la sua parola, captare la sua presenza, pregarlo: questo è il metodo di ogni catechesi. Amarlo per comprenderlo meglio, comprenderlo per amarlo di più.
Chi recita il "credo" non elenca idee astratte, ma richiama delle Persone, dei fatti, una storia, le "gesta di Dio", dalla creazione sino alla fine dei tempi: un impegno divino in nostro favore, per amore. Al centro di tutto stanno la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Questo è il fatto essenziale, la meravigliosa notizia che deve essere gridata a tutti perché costituisce l’atto stesso della salvezza.
Questo fatto capitale si presenta come un avvenimento storico debitamente costatato, occupa il centro del cherigma (ciò che si "grida" innanzitutto, quando si annuncia il Vangelo) di cui veramente costituisce l’essenziale.

Il "credo" può essere diviso in tre parti:

o prima parte: Dio-Amore, Dio-Padre, fonte della vita, che dà il Figlio suo;

o seconda parte: Gesù Cristo, crocefisso e risorto;

o terza parte: Il Padre e il Figlio che donano lo Spirito, fondano la Chiesa come luogo di fraternità, di perdono, di vita in questo Spirito mentre attendiamo il giorno della manifestazione del Signore nel quale Cristo verrà glorioso a giudicare i vivi e i morti.

Sono tre tappe storiche che possono essere facilmente riferite alle tre persone della Trinità: al Padre creatore, al Figlio salvatore, allo Spirito santificatore.

giovedì 6 novembre 2008

Il simbolo della Fede


Prima di iniziare la spiegazione del Credo o simbolo degli apostoli mi è sembrato opportuno riportare un brano della catechesi sul Credo di san Cirillo di Gerusalemme, che ci aiuta a comprendere il perché di questa scelta dei punti più importanti di tutta la Scrittura.
***
Nell’apprendere e professare la fede, abbraccia e ritieni soltanto quella che ora ti viene proposta dalla Chiesa ed è garantita da tutte le Scritture. Ma non tutti sono in grado di leggere le Scritture. Alcuni ne sono impediti da incapacità, altri da occupazioni varie. Ecco perché, ad impedire che l’anima riceva danno da questa ignoranza, tutto il dogma della nostra fede viene sintetizzato in poche frasi.
Io ti consiglio di portare questa fede con te come provvista da viaggio per tutti i giorni di tua vita e non prenderne mai altra fuori di essa, anche se noi stessi, cambiando idea, dovessimo insegnare il contrario di quel che insegniamo ora, oppure anche se un angelo del male, cambiandosi in angelo di luce, tentasse di indurti in errore.
Così “se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che abbiamo predicato, sia anàtema!” (Gal 1,8).
Cerca di ritenere bene a memoria il simbolo della fede. Esso non è stato fatto secondo capricci umani, ma è il risultato di una scelta dei punti più importanti di tutta la Scrittura.
Essi compongono e formano l’unica dottrina della fede. E come un granellino di senapa, pur nella sua piccolezza, contiene in germe tutti i ramoscelli, così il simbolo della fede contiene, nelle sue brevi formule, tutta la somma di dottrina che si trova tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento.
Perciò, fratelli, conservate con ogni impegno la tradizione che vi viene trasmessa e scrivetene gli insegnamenti nel più profondo del cuore.
Vigilate attentamente perché il nemico non vi trovi indolenti e pigri e così vi derubi di questo tesoro. State in guardia perché nessun eretico stravolga le verità che vi sono state insegnate.
Ricordate che aver fede significa far fruttare la moneta che è stata posta nelle vostre mani. E non dimenticate che Dio vi chiederà conto di ciò che vi è stato donato.
Vi scongiuro”, come dice l’Apostolo, “al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose, e di Cristo Gesù, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato” (1Tm 6,13), conservate intatta fino al ritorno del Signore nostro Gesù Cristo questa fede che vi è stata insegnata.
Ti è stato affidato il tesoro della vita, e il Signore ti richiederà questo deposito nel giorno della sua venuta “che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e Signore dei signori; il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere” (1Tm 6, 15-16). Al quale sia gloria, onore ed impero per i secoli eterni. Amen.
(Dalle “Catechesi” di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo, Catechesi 5 sulla fede e il simbolo, 12-13; PG 33, 519-523).

venerdì 31 ottobre 2008

La giustizia di Dio in Rm 1,17



L’impiego da parte di Paolo del termine giustizia (cf Rm 1,17) si rifà al modo in cui si parla della giustizia di Dio negli scritti dell’Antico Testamento nel periodo dopo l’esilio. La giustizia di Dio è la proprietà in virtù della quale Dio opera attivamente, perdonando e giustificando il suo popolo peccatore, manifestando nei suoi confronti la sua potenza e la volontà di grazia nell’ambito di un giudizio giusto (vedi Is 46,13 [dove “la mia giustizia” e “la mia misericordia” sono poste in parallelo], 51,5.6.8; 56,1; 61,10; Sal 40,9-10). Questa giustizia è manifestata ora a beneficio dell’umanità grazie a quello che Gesù Cristo ha fatto per gli uomini.
Sant’Agostino (De Trinitate 14, 12, 15) interpreta così la giustizia di Dio: “non solo quella giustizia per la quale egli stesso è giusto, ma anche quella giustizia che egli conferisce all’uomo, quando giustifica l’empio”. E san Tommaso d’Aquino la interpreta: “la giustizia per la quale Dio è giusto e giustifica gli uomini”. Per san Tommaso la pienezza della giustizia di Dio è la sua misericordia.
Nel tardo medioevo il termine giustizia ha subito varie sfumature, specialmente con l’introduzione della concezione di giustizia in senso ciceroniano, giustinianeo o aristotelico. E qui è il caso di ripetere: “La Bibbia si spiega con la Bibbia”, e non con il pensiero dei filosofi o con le leggi dei codici umani! E purtroppo per molti ancora oggi la parola giustizia è compresa come giustizia “distributiva”, cioè Dio dà ad ognuno quello che merita. Se così fosse, manderebbe tutti all’inferno.
Credo che l’esperienza di Lutero possa aiutare molti credenti di oggi ad uscire dal terrore di Dio e del suo giudizio e a credere all’amore che Dio ha per noi. Nella prefazione al primo volume delle sue opere latine, composta l’anno precedente alla sua morte, Lutero spiega com’è arrivato alla giusta concezione della giustizia di Dio: “Sono stato afferrato dal grande desiderio di capire Paolo nella lettera ai Romani. Ma fino ad allora ad impedirmi il cammino non era il cuore freddo, bensì un’espressione che si legge nel capitolo 1: “In esso la giustizia di Dio è rivelata”(cf Rm 1,17). Odiavo, infatti, questa espressione “giustizia di Dio”, che secondo l’usanza e la consuetudine di tutti i maestri, mi avevano insegnato ad intendere in senso filosofico, in riferimento alla giustizia formale e attiva, come la chiamavano: la giustizia per la quale Dio è giusto, punisce i peccatori e gli ingiusti. Pur vivendo da monaco in modo irreprensibile, mi sentivo peccatore di fronte a Dio e con la coscienza molto turbata; non potevo credere che egli fosse placato dalla mia opera di soddisfazione. In verità non amavo, ma odiavo il Dio giusto che punisce i peccatori. In segreto, per non dire in modo blasfemo, certamente mormorando di continuo, ero adirato con Dio… Infine, per la misericordia di Dio, meditando giorno e notte, prestai attenzione al contesto delle parole: “In esso la giustizia di Dio è rivelata, come sta scritto: Colui che per fede è giusto, vivrà”(Rm 1,17). Allora cominciai a capire che la giustizia di Dio è la giustizia per la quale il giusto vive grazie ad un dono di Dio, vale a dire per la fede. Questo, dunque è il significato: la giustizia di Dio è rivelata dal Vangelo e si tratta della giustizia passiva con la quale il Dio misericordioso giustifica per fede, come sta scritto: “Il giusto vive per fede”. Così mi sentii rinascere e mi sembrò di essere entrato in paradiso attraverso porte spalancate. Da allora tutta la Scrittura prese ai miei occhi un aspetto nuovo…” (Prefazione agli scritti latini, 1545; Wausg 54, 185-86; LuthW 34, 446-37).
In conclusione, la giustizia di Dio è la sua misericordia che salva gli uomini.

“Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò mai sfogo all’ardore della mia ira, perchè sono Dio e non uomo”. (Os 11,8-9).

giovedì 23 ottobre 2008

Dio è Amore


Questo blog ha lo scopo principale di parlare bene di Dio e dell’uomo.
Il vertice della conoscenza di Dio è la rivelazione che “Dio è amore [agàpe: amore totalmente gratuito; è l’amore di Dio per noi, manifestato attraverso la croce di Gesù di Nazaret]” (1Gv 4,8), un amore da cui nulla e nessuno potrà mai separarci, com’è scritto nel vibrante «Inno all’amore» della Lettera ai Romani 8,31-39.
L’essenziale dell’essenziale della fede cristiana è che Dio è amore (1Gv 4,8), è solo amore e non è nient’altro che amore. “Se capitasse che un punto qualsiasi della dottrina cristiana apparisse senza legami con l’amore o in contraddizione con l’amore, saremmo in diritto di rifiutarlo” (F. Varillon). “Come si deve cercare di parlare bene dell’uomo, così si deve tentare di parlare bene di Dio. Allora forse si placherà questo dolore senza fondo e senza volto che si è levato sull’occidente dove si sostiene, nonostante il mistero di Cristo, che Dio si è allontanato dai nostri dolori per diritto di trascendenza. Bisogna cercare di parlare per questi uomini che vomitano se stessi per il disgusto di non essere amati (così credono) da Colui che i cristiani continuano a chiamare l’Amore stesso del mondo” (G. Martelet, L’aldilà ritrovato, Queriniana 1977, pag. 181).
Tutta la storia della rivelazione è la conversione progressiva da un Dio inteso come potenza ad un Dio adorato come amore. In questa prospettiva dovremo rileggere tutta la Bibbia e studiare la storia delle religioni. Questa storia di una progressiva conversione da un Dio che è solo onnipotenza ad un Dio che è amore è, in fondo, la storia di ciascuno di noi. Dobbiamo continuamente convertirci ad un Dio che è soltanto amore e non è altro che amore. Tutto sta in questo “non è altro che”. Dobbiamo passare attraverso il fuoco della negazione: solo al di là, infatti, la verità si dispiega in pienezza. Dio è l’onnipotente? No, Dio non è altro che amore. Dio è infinito? No, Dio non è altro che amore. Dio è sapiente? No. E a tutte le domande che mi porrete io vi risponderò: no e poi no. Dio non è altro che amore.
Affermare che Dio è onnipotente significa porre come fondamento una potenza che può esercitarsi anche attraverso il dominio e la distruzione. Ci sono degli esseri che sono potenti per distruggere: il diavolo è il primo e il più potente di questi. Molti cristiani mettono l’onnipotenza come sfondo e poi, solo in un secondo momento, aggiungono: Dio è amore, Dio ci ama. È falso! L’onnipotenza di Dio è l’onnipotenza dell’amore: è l’amore che è onnipotente.
Si dice: Dio può tutto! No. Dio non può tutto. Dio può soltanto ciò che l’amore può, perché egli non è altro che amore. Dio può solo amare. E tutte le volte che usciamo dalla sfera dell’amore e inseriamo in Dio qualcosa che non è amore c’inganniamo su Dio e ci costruiamo un idolo. C’è una differenza fondamentale tra un onnipotente che ci amerebbe e un amore onnipotente. Un amore onnipotente non solo è incapace di distruggere qualcosa, ma è capace di arrivare fino alla morte.
In Dio non esiste altra potenza all’infuori della potenza dell’amore e Gesù ci dice: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15,13). Egli ci rivela l’onnipotenza dell’amore accettando di morire per noi.
Tutti gli attributi di Dio (onnipotenza, giustizia, sapienza...) sono gli attributi del suo amore. Ecco allora la formula che vi propongo: l’amore non è un attributo di Dio tra gli altri attributi, ma gli attributi di Dio sono tutti attributi dell’amore. L’amore di Dio è onnipotente, giusto, sapiente... Ancora meglio dovremmo dire: Dio-Amore è onnipotente, giusto, sapiente…
Che cos’è un amore onnipotente? È un amore che va fino all’estremo. L’onnipotenza dell’amore è la morte: andare fino all’estremo significa morire per le persone amate.

_____________________________________________________________________________________

Lettera del Patriarca russo Alessio II a Benedetto XVI
Testimonianza comune per proclamare il Vangelo all'uomo d'oggi.


CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 22 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la lettera scritta da Alessio II, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, a Benedetto XVI.

Il messaggio risponde alla lettera che il Papa gli aveva inviato attraverso il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo metropolita di Napoli, che gli ha fatto visita a Mosca mercoledì 1° ottobre (cfr. Messaggio di Benedetto XVI al Patriarca Alessio II).

* * *

Santità,

desidero ringraziarla cordialmente per la lettera che mi ha inviato tramite Sua Eminenza il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, durante la sua visita a Mosca. In risposta alle affettuose parole del suo messaggio, anche io desidero esprimere i miei sentimenti di profondissima stima e sincera benevolenza.

Sono lieto per le crescenti prospettive di sviluppare buone relazioni e una positiva cooperazione fra le nostre due Chiese. La solida base di ciò sta nelle nostre radici comuni e nelle nostre posizioni convergenti su molte questioni che oggi affliggono il mondo.

Sono convinto del fatto che la più grande rivelazione del Vangelo: «Dio è amore» (1Gv 4,8) dovrebbe divenire un orientamento vitale per tutti coloro che si considerano seguaci di Cristo, perché soltanto attraverso la nostra testimonianza di questo mistero possiamo superare la discordia e l'alienazione di questo secolo, proclamando i valori eterni del cristianesimo al mondo moderno.

Santità, con tutto il cuore le auguro buona salute e auspico l'aiuto di Dio nel suo ministero.

Con amore fraterno nel Signore,

Alessio II

Patriarca di Mosca e di tutte le Russie

Il Santo Natale - Commento di padre Fernando Armellini

Diffondi la Parola - Natale del Signore - 25 dicembre 2011

I Dehoniani

Watch live streaming video from dehoniani at livestream.com