mercoledì 17 dicembre 2008

AUGURI PER UN SERENO NATALE



Nella solennità del santo Natale di Gesù Cristo siamo invitati a contemplare "la bontà di Dio, nostro salvatore, e il suo amore per gli uomini” (Lettera a Tito 3,4). Dio nasce piccolo e indifeso, bisognoso di tutto e di tutti perché è amore, per non incutere alcuna paura all’uomo e dargli ardimento di amare Dio con semplicità e disinvoltura. La passione d’amore di Dio per gli uomini l’ha spinto a nascere, a morire e a risuscitare per tutti. La fede cristiana è accogliere questa carne di Dio che si è fatto solidale con la nostra debolezza: “Ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne è da Dio (Prima lettera di Giovanni 4,2). E’ questa stessa carne che ci rivela il Dio che nessuno ha mai visto (cf. Vangelo secondo Giovanni 1,18). Gesù ha detto: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Vangelo secondo Giovanni 14,9).

Nel secondo capitolo del Vangelo di Luca, l’evangelista presenta la potenza umana dell’imperatore Cesare Augusto che si esalta, si dilata e raggiunge il massimo in un censimento mondiale, il primo della storia, e la potenza di Dio che si umilia, si restringe e si concentra in un neonato. Se il Figlio di Dio fosse venuto con potenza, non sarebbe stato ignorato e rifiutato; tutti l’avremmo accolto o per amore o per forza. Ma non sarebbe stato la rivelazione del vero Dio che è amore, ma di un dio falso, di un idolo. Il suo segno di riconoscimento è un neonato: così la caratteristica di Dio è la piccolezza. Certamente, con questa scelta Dio si è esposto al rifiuto. E’ la vulnerabilità dell’amore che rispetta la libertà dell’uomo. Ma Dio-Amore non poteva manifestarsi che attraverso le scelte proprie dell’amore: l'umiltà, la piccolezza, la povertà, il servizio.

Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventasse Dio.

Buon Natale di Dio che diventa uomo e dell'uomo che diventa Dio.

padre Lino Pedron e padre Fernando Armellini


P.S. - I posts su "IL CREDO O SIMBOLO DEGLI APOSTOLI", proseguiranno dopo l'Epifania.

venerdì 12 dicembre 2008

5 - Credo in un solo Dio


"Credo in un solo Dio" non è una dichiarazione che ci lascia beatamente tranquilli: è un grido rivoluzionario, è una dichiarazione di guerra.
"Credo in un solo Dio e rifiuto tutti gli idoli. Rifiuto le divinità davanti alle quali si prostra e si prostituisce il mondo: il potere, il sesso, il dio quattrino che compra quasi tutto e quasi tutti, le filosofie, le ideologie...".
Nell’impero romano era necessario adorare l’imperatore e altre divinità. I primi cristiani erano, quindi, perseguitati come atei. S. Giustino martire (+165 d.C.) affermava: "È vero: dato che non crediamo agli idoli dei pagani, siamo gli atei di questi presupposti dèi".
"Credo in un solo Dio" significa rifiuto di ogni potere assolutistico, sia civile che religioso: rifiuto di atteggiamenti servili davanti ai grandi e ai potenti. Maria ha proclamato: "Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi" (Lc 1,51-53). Dobbiamo abbattere la selva delle false divinità che umiliano la nostra dignità umana e bloccano la crescita della vera libertà. Solo l’adorazione dell’unico Dio è liberante. Servire Dio è regnare!
La professione di fede in un solo Dio costituisce un programma d’incalcolabile importanza politica. Da una parte conferisce a ogni uomo un carattere assoluto a causa del suo riferimento personale a Dio; dall’altra relativizza tutte le società politiche e religiose: esse, o si radicano in questo Dio unico e lo servono, o non sono nulla e non possono pretendere nulla.
Senza l’adorazione cieca di molti cristiani per il potere di Hitler, il nazismo e l’ultima guerra sarebbero stati impossibili. Sarebbe bastato che tutti i cristiani avessero detto in spirito e verità: "Credo in un solo Dio!". Sonnecchiare sul proprio Credo porta a gravi conseguenze. Il Credo non è un testo da declamare o da abbellire coi ghirigori del canto gregoriano, della polifonia o della musica moderna: bisogna viverlo.
Il potere è servizio; diversamente è un idolo che corrompe l’uomo e la società.
Il sesso è a servizio dell’amore e della vita; non è un bene di consumo o uno svago. Sganciato dal progetto e dalle finalità affidategli da Dio, diventa il dio-sesso. Ha molti adoratori!
L’anti-dio per eccellenza è il denaro. Gesù ha cacciato l’anti-dio dalla casa di Dio (Mt 21,12-13) perché Dio non è in vendita. Nella casa di Dio non c’è nulla da vendere e nulla da comperare: Dio è amore e gratuità. "Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure s’affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e mammona" (Lc 16,13). "L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali" (1Tm 6,10). Cristo fu tradito per denaro (Mc 14, 10-11) e l’affare continua!
A questo punto forse sentiamo già qualcosa che stride dentro di noi. Ci stiamo accorgendo di essere superficiali, di essere "gente di poca fede" (Mt 6,30). Ci verrebbe spontaneo cambiare il "Credo in un solo Dio" in "Credevo di credere in un solo Dio". Sarebbe un atto di umiltà doveroso e commovente, ma non può diventare accomodante. Il Credo è il simbolo, la parola di riconoscimento, la carta di identità dei cristiani. Più ancora, il Credo è, a grandi linee, lo schizzo della vera immagine di Dio e della storia della salvezza: non può essere cambiato. Dobbiamo convertirci al Credo se vogliamo essere cristiani credenti e credibili.

giovedì 4 dicembre 2008

4 - Ma quale Dio?


Solo Dio può parlare rettamente di Dio. Per conoscerlo bisogna ascoltare la sua parola, leggere e rileggere la Bibbia e soprattutto il Vangelo.
È necessario che prendiamo le debite distanze da un certo linguaggio su Dio. È il linguaggio, per intenderci, di certi catechismi del passato: quello delle formule astratte e magniloquenti.
Allora, era tutto falso? No, non era falso. Ma Dio non parla in questo modo di se stesso. Un simile linguaggio aveva poca presa allora e ora non ne avrebbe affatto.
Il Concilio Vaticano II ci ha invitati a cambiare linguaggio, "a sempre ricercare modi più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini della nostra epoca, perché altro è il deposito o le verità della fede, altro è il modo in cui vengono enunciate, rimanendo pur sempre lo stesso il significato e il senso profondo" (Concilio Vaticano II, Gs 62).
L’umanità sta vivendo la più grande metamorfosi della sua storia. Una metamorfosi mai vista; non la prima, ma la più macroscopica. Lo stesso Dio vuole essere presentato a questa umanità concreta con formule nuove, o meglio, con le formule antiche che lui stesso ha usato, ma ripulite dalle incrostazioni che i secoli, le filosofie e le teologie vi hanno depositato. La Chiesa, se vuole che la sua dottrina sia compresa, non ha altro mezzo che la cultura e le forme di pensiero del tempo e del luogo in cui essa vive.
In passato la filosofia greca di Platone e di Aristotele, la filosofia ancella della teologia, ha fatto spesso da padrona. Così certe nostre idee su Dio, che crediamo cristiane, in realtà spesso sono un modo di vedere della filosofia pagana che abbiamo sovrapposto a quanto ci dice la Bibbia e soprattutto il Vangelo.
Il papa Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II (11 Ottobre 1962) afferma: "Lo scopo principale di questo Concilio non è la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della Chiesa... Per questo non occorreva un concilio. Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione... lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze; è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata. Bisognerà attribuire molta importanza a questa forma e, se sarà necessario, bisognerà insistere con pazienza nella sua elaborazione; e si dovrà ricorrere ad un modo di presentare le cose, che più corrisponda al magistero, il cui carattere è preminentemente pastorale".
Per farla breve, noi crediamo nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, nel Dio di Gesù Cristo: un Dio vivente, non il dio immobile dei filosofi; un Dio di ieri, di oggi, che va verso un domani, un Dio storico, che vive la storia con noi, in mezzo a noi, sulla nostra terra di uomini. Dio non è "altrove". Non esiste un "altrove". C’è solo il "Dio con noi", l’Emmanuele. Il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo. "Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto... Chi ha visto me ha visto il Padre... Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Gv 14,7-11). Gesù Cristo è l’unico, in senso assoluto, che può farci conoscere il vero Dio. "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27).
Noi crediamo, appunto, in questo Dio che Gesù ci rivela, in questo Dio imprevedibile e sconvolgente: questo è il Dio che dobbiamo annunciare ai nostri figli e al mondo. Non dobbiamo quindi aver paura di cambiare linguaggio, liberandoci dalle filosofie del passato senza incappare in quelle del presente.

Il Santo Natale - Commento di padre Fernando Armellini

Diffondi la Parola - Natale del Signore - 25 dicembre 2011

I Dehoniani

Watch live streaming video from dehoniani at livestream.com