venerdì 31 ottobre 2008

La giustizia di Dio in Rm 1,17



L’impiego da parte di Paolo del termine giustizia (cf Rm 1,17) si rifà al modo in cui si parla della giustizia di Dio negli scritti dell’Antico Testamento nel periodo dopo l’esilio. La giustizia di Dio è la proprietà in virtù della quale Dio opera attivamente, perdonando e giustificando il suo popolo peccatore, manifestando nei suoi confronti la sua potenza e la volontà di grazia nell’ambito di un giudizio giusto (vedi Is 46,13 [dove “la mia giustizia” e “la mia misericordia” sono poste in parallelo], 51,5.6.8; 56,1; 61,10; Sal 40,9-10). Questa giustizia è manifestata ora a beneficio dell’umanità grazie a quello che Gesù Cristo ha fatto per gli uomini.
Sant’Agostino (De Trinitate 14, 12, 15) interpreta così la giustizia di Dio: “non solo quella giustizia per la quale egli stesso è giusto, ma anche quella giustizia che egli conferisce all’uomo, quando giustifica l’empio”. E san Tommaso d’Aquino la interpreta: “la giustizia per la quale Dio è giusto e giustifica gli uomini”. Per san Tommaso la pienezza della giustizia di Dio è la sua misericordia.
Nel tardo medioevo il termine giustizia ha subito varie sfumature, specialmente con l’introduzione della concezione di giustizia in senso ciceroniano, giustinianeo o aristotelico. E qui è il caso di ripetere: “La Bibbia si spiega con la Bibbia”, e non con il pensiero dei filosofi o con le leggi dei codici umani! E purtroppo per molti ancora oggi la parola giustizia è compresa come giustizia “distributiva”, cioè Dio dà ad ognuno quello che merita. Se così fosse, manderebbe tutti all’inferno.
Credo che l’esperienza di Lutero possa aiutare molti credenti di oggi ad uscire dal terrore di Dio e del suo giudizio e a credere all’amore che Dio ha per noi. Nella prefazione al primo volume delle sue opere latine, composta l’anno precedente alla sua morte, Lutero spiega com’è arrivato alla giusta concezione della giustizia di Dio: “Sono stato afferrato dal grande desiderio di capire Paolo nella lettera ai Romani. Ma fino ad allora ad impedirmi il cammino non era il cuore freddo, bensì un’espressione che si legge nel capitolo 1: “In esso la giustizia di Dio è rivelata”(cf Rm 1,17). Odiavo, infatti, questa espressione “giustizia di Dio”, che secondo l’usanza e la consuetudine di tutti i maestri, mi avevano insegnato ad intendere in senso filosofico, in riferimento alla giustizia formale e attiva, come la chiamavano: la giustizia per la quale Dio è giusto, punisce i peccatori e gli ingiusti. Pur vivendo da monaco in modo irreprensibile, mi sentivo peccatore di fronte a Dio e con la coscienza molto turbata; non potevo credere che egli fosse placato dalla mia opera di soddisfazione. In verità non amavo, ma odiavo il Dio giusto che punisce i peccatori. In segreto, per non dire in modo blasfemo, certamente mormorando di continuo, ero adirato con Dio… Infine, per la misericordia di Dio, meditando giorno e notte, prestai attenzione al contesto delle parole: “In esso la giustizia di Dio è rivelata, come sta scritto: Colui che per fede è giusto, vivrà”(Rm 1,17). Allora cominciai a capire che la giustizia di Dio è la giustizia per la quale il giusto vive grazie ad un dono di Dio, vale a dire per la fede. Questo, dunque è il significato: la giustizia di Dio è rivelata dal Vangelo e si tratta della giustizia passiva con la quale il Dio misericordioso giustifica per fede, come sta scritto: “Il giusto vive per fede”. Così mi sentii rinascere e mi sembrò di essere entrato in paradiso attraverso porte spalancate. Da allora tutta la Scrittura prese ai miei occhi un aspetto nuovo…” (Prefazione agli scritti latini, 1545; Wausg 54, 185-86; LuthW 34, 446-37).
In conclusione, la giustizia di Dio è la sua misericordia che salva gli uomini.

“Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò mai sfogo all’ardore della mia ira, perchè sono Dio e non uomo”. (Os 11,8-9).

giovedì 23 ottobre 2008

Dio è Amore


Questo blog ha lo scopo principale di parlare bene di Dio e dell’uomo.
Il vertice della conoscenza di Dio è la rivelazione che “Dio è amore [agàpe: amore totalmente gratuito; è l’amore di Dio per noi, manifestato attraverso la croce di Gesù di Nazaret]” (1Gv 4,8), un amore da cui nulla e nessuno potrà mai separarci, com’è scritto nel vibrante «Inno all’amore» della Lettera ai Romani 8,31-39.
L’essenziale dell’essenziale della fede cristiana è che Dio è amore (1Gv 4,8), è solo amore e non è nient’altro che amore. “Se capitasse che un punto qualsiasi della dottrina cristiana apparisse senza legami con l’amore o in contraddizione con l’amore, saremmo in diritto di rifiutarlo” (F. Varillon). “Come si deve cercare di parlare bene dell’uomo, così si deve tentare di parlare bene di Dio. Allora forse si placherà questo dolore senza fondo e senza volto che si è levato sull’occidente dove si sostiene, nonostante il mistero di Cristo, che Dio si è allontanato dai nostri dolori per diritto di trascendenza. Bisogna cercare di parlare per questi uomini che vomitano se stessi per il disgusto di non essere amati (così credono) da Colui che i cristiani continuano a chiamare l’Amore stesso del mondo” (G. Martelet, L’aldilà ritrovato, Queriniana 1977, pag. 181).
Tutta la storia della rivelazione è la conversione progressiva da un Dio inteso come potenza ad un Dio adorato come amore. In questa prospettiva dovremo rileggere tutta la Bibbia e studiare la storia delle religioni. Questa storia di una progressiva conversione da un Dio che è solo onnipotenza ad un Dio che è amore è, in fondo, la storia di ciascuno di noi. Dobbiamo continuamente convertirci ad un Dio che è soltanto amore e non è altro che amore. Tutto sta in questo “non è altro che”. Dobbiamo passare attraverso il fuoco della negazione: solo al di là, infatti, la verità si dispiega in pienezza. Dio è l’onnipotente? No, Dio non è altro che amore. Dio è infinito? No, Dio non è altro che amore. Dio è sapiente? No. E a tutte le domande che mi porrete io vi risponderò: no e poi no. Dio non è altro che amore.
Affermare che Dio è onnipotente significa porre come fondamento una potenza che può esercitarsi anche attraverso il dominio e la distruzione. Ci sono degli esseri che sono potenti per distruggere: il diavolo è il primo e il più potente di questi. Molti cristiani mettono l’onnipotenza come sfondo e poi, solo in un secondo momento, aggiungono: Dio è amore, Dio ci ama. È falso! L’onnipotenza di Dio è l’onnipotenza dell’amore: è l’amore che è onnipotente.
Si dice: Dio può tutto! No. Dio non può tutto. Dio può soltanto ciò che l’amore può, perché egli non è altro che amore. Dio può solo amare. E tutte le volte che usciamo dalla sfera dell’amore e inseriamo in Dio qualcosa che non è amore c’inganniamo su Dio e ci costruiamo un idolo. C’è una differenza fondamentale tra un onnipotente che ci amerebbe e un amore onnipotente. Un amore onnipotente non solo è incapace di distruggere qualcosa, ma è capace di arrivare fino alla morte.
In Dio non esiste altra potenza all’infuori della potenza dell’amore e Gesù ci dice: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15,13). Egli ci rivela l’onnipotenza dell’amore accettando di morire per noi.
Tutti gli attributi di Dio (onnipotenza, giustizia, sapienza...) sono gli attributi del suo amore. Ecco allora la formula che vi propongo: l’amore non è un attributo di Dio tra gli altri attributi, ma gli attributi di Dio sono tutti attributi dell’amore. L’amore di Dio è onnipotente, giusto, sapiente... Ancora meglio dovremmo dire: Dio-Amore è onnipotente, giusto, sapiente…
Che cos’è un amore onnipotente? È un amore che va fino all’estremo. L’onnipotenza dell’amore è la morte: andare fino all’estremo significa morire per le persone amate.

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Lettera del Patriarca russo Alessio II a Benedetto XVI
Testimonianza comune per proclamare il Vangelo all'uomo d'oggi.


CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 22 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la lettera scritta da Alessio II, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, a Benedetto XVI.

Il messaggio risponde alla lettera che il Papa gli aveva inviato attraverso il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo metropolita di Napoli, che gli ha fatto visita a Mosca mercoledì 1° ottobre (cfr. Messaggio di Benedetto XVI al Patriarca Alessio II).

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Santità,

desidero ringraziarla cordialmente per la lettera che mi ha inviato tramite Sua Eminenza il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, durante la sua visita a Mosca. In risposta alle affettuose parole del suo messaggio, anche io desidero esprimere i miei sentimenti di profondissima stima e sincera benevolenza.

Sono lieto per le crescenti prospettive di sviluppare buone relazioni e una positiva cooperazione fra le nostre due Chiese. La solida base di ciò sta nelle nostre radici comuni e nelle nostre posizioni convergenti su molte questioni che oggi affliggono il mondo.

Sono convinto del fatto che la più grande rivelazione del Vangelo: «Dio è amore» (1Gv 4,8) dovrebbe divenire un orientamento vitale per tutti coloro che si considerano seguaci di Cristo, perché soltanto attraverso la nostra testimonianza di questo mistero possiamo superare la discordia e l'alienazione di questo secolo, proclamando i valori eterni del cristianesimo al mondo moderno.

Santità, con tutto il cuore le auguro buona salute e auspico l'aiuto di Dio nel suo ministero.

Con amore fraterno nel Signore,

Alessio II

Patriarca di Mosca e di tutte le Russie

Il Santo Natale - Commento di padre Fernando Armellini

Diffondi la Parola - Natale del Signore - 25 dicembre 2011

I Dehoniani

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