lunedì 27 aprile 2009

20 - "Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Gen 1,26)

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In nessuna pagina della Bibbia troveremo una formula del tipo "un solo Dio in tre persone". Ma fin dalle prime righe della Genesi risulta la presenza di un grande amore attorno a una culla. Vi troviamo il nome del Dio unico in forma plurale -Elohim- e questo Dio creatore parla a se stesso al plurale:
"Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Gen 1,26) come quando più persone si consultano fra loro e arrivano a una decisione comune. Infine facendo l’uomo "a sua immagine" lo crea coppia: "maschio e femmina; li creò" (Gen 1,27) col potere di generare: li creò trinità. Una trinità (padre, madre, figlio) "immagine e somiglianza di Dio".
Nel Nuovo Testamento, l’angelo annuncia a Maria: "Lo Spirito santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,55). Sono tre: l’Altissimo, lo Spirito santo e il Figlio di Dio.
Dopo il battesimo di Gesù il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: "Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto" (Lc 5,21-22). La voce del Padre sul Figlio prediletto e la discesa dello Spirito.
pensiero261008_2Gesù inizia il suo primo discorso pubblico con queste parole della Scrittura: "Lo Spirito del Signore è sopra di me" (Lc 4,18). "Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi" (Lc 4,21). Lo Spirito del Signore (del Padre) sul Figlio. Ancora la Trinità. Ecc.
Venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14), il Verbo (ossia la Parola: colui mediante il quale il Padre ci parla), Gesù, non si comporta da professore, non impartisce lezioni sulla Trinità, non fa abbozzi geometrici (ricordate il triangolo con scritto "Dio"?!), non usa termini filosofici (natura, persona, essenza, sostanza). Vive semplicemente, vive com’è. Vive da Figlio unigenito del Padre. Ad ogni pagina del vangelo, Gesù ha nella mente e nel cuore la volontà del Padre, prega il Padre (lo chiama Abbà, Papà), vive esclusivamente per il Padre.
Gesù Figlio unico di Dio parla di suo Padre come di una persona nettamente distinta da lui (cfr. Gv 17,10). Tra lui e il Padre vi è distinzione netta e tuttavia unità perfetta: "Io e il Padre siamo una cosa sola" (Gv 10,30); "Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Gv 14,9).
Verso la fine della sua vita Gesù annuncia una terza persona divina: "il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome..." (Gv 14,26). Uno Spirito perfettamente distinto dal Padre e dal Figlio.
La rivelazione, dunque, ci presenta delle persone distinte: Padre, Figlio e Spirito Santo, ognuna è persona distinta, e nello stesso tempo ci dice la loro unità in un solo Dio.
1153324651068Dalla risurrezione del Figlio e dall’effusione dello Spirito è nata la Chiesa alla quale Gesù ha dato un ordine: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo..." (Mt 28,19).
La vita della Chiesa è completamente penetrata da questo mistero trinitario (segno di croce, orazioni, sacramenti, ecc.). Essa non si preoccupa tanto di darci spiegazioni e ragioni, quanto piuttosto di intrecciare rapporti di familiarità con le persone divine, di farci vivere con esse e in esse, di metterci in comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito nella preghiera e nell’amore.

lunedì 20 aprile 2009

19 – Gesù Cristo, Suo unico Figlio

Gesù risorto - 01 Solo poco per volta i discepoli scoprirono in Gesù di Nazaret una presenza speciale di Dio. Solo dopo la sua risurrezione e la pentecoste, ebbero la certezza che Gesù era Dio in persona.
Che itinerario seguirono gli apostoli per arrivare a questa scoperta? I miracoli.
I Giudei del tempo di Gesù avevano la testa piena di miracoli. Miracoli grandiosi come le piaghe d’Egitto, il mare diviso dal bastone di Mosè, la manna piovuta dal cielo, ecc. Prima di Gesù i profeti avevano risuscitato morti, guarito lebbrosi, moltiplicato pane e olio, ecc.
I miracoli di Gesù non erano più sensazionali di quelli dei suoi predecessori. Anzi, paragonato a Mosè, Gesù ne usciva abbastanza ridimensionato: un messia debuttante.
Nonostante che Mosè avesse fatto miracoli più clamorosi di quelli di Cristo, nessuno mai lo aveva creduto Dio. Ciò che attribuisce ai miracoli di Gesù un peso inaudito, una differenza sostanziale, una caratteristica unica rispetto ai miracoli di Mosè e dei profeti, è questo: i miracoli di Gesù sono miracoli personali.
Gesù aveva il potere personale di fare i miracoli.
Nell’Antico Testamento i profeti annunziano che Dio farà i miracoli: essi sono solo strumenti. Quando Elia risuscita un ragazzo (1 Re 17,17-24) invoca il Signore e il Signore lo ascolta. Quando Gesù risuscita un ragazzo (Lc 7,11-17) fa un semplice gesto, dice una sola parola senza invocare Dio: " Gesù accostatosi toccò la bara..." Poi disse: "Giovinetto, dico a te, alzati!" Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare" (Lc 7,14-15).
Il miracolo (questo e altri) è importante non tanto per il beneficio che produce al fortunato destinatario, ma perché è "un segno", una prova che Dio è d’accordo e mette la sua firma su quanto Gesù fa e dice. Questo sarà l’argomento dimostrativo e convincente che gli apostoli tireranno fuori fin dal primo discorso. "Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret -uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete - dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere" (At 2,22-24).
I fatti del Vangelo rivelano che Gesù è uomo e Dio. Il Padre ha mandato il Figlio suo a farsi uomo perché in quest’uomo noi conoscessimo e amassimo Dio.
Gesù è il Figlio unigenito del Padre (Cf. Gv 1,14-18; 5,16-18) venuto a rivelare il vero volto di Dio. "Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1,18). E Gesù ci ha presentato Dio come "pluralità" di persone. Ha presentato il Padre, se stesso e lo Spirito santo. "Rispose Gesù: "Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole: la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora con voi. Ma il Consolatore, lo Spirito santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto" (Gv 14,23-26).
I vangeli non hanno mai fatto la somma dei Tre, non hanno parlato di Trinità, non usano nemmeno il termine "persona". La realtà di Dio non può essere racchiusa in parole o formule: ci sta stretta o non ci sta affatto.
John Robinson scrive nel suo libro "Questo non posso crederlo": "Una volta, alla fine di una mia conferenza, qualcuno mi pose questa domanda: "Come insegnerebbe a un bambino la dottrina della Trinità?". Di rado mi ero sentito rivolgere un quesito così facile: "Non gliela insegnerei affatto!".
John Robinson ha ragione! La Trinità è la famiglia di Dio. Ora le realtà della famiglia non si racchiudono in fredde lezioni, come se fossero matematica o geometria, ma si vivono, e possono essere progressivamente comprese attraverso l’esperienza vissuta.
Il neonato non sa di avere una famiglia e non sa cosa sia una famiglia. Fin dalle prime settimane di vita si sente circondato da tanto amore, intuisce attorno a sé una tenerezza che risponde a tutte le sue necessità. Coglie questa tenerezza come "una", indistinta, ma onnipotente e buona, attenta e premurosa. In seguito scoprirà che questa presenza è "molteplice" senza cessare di essere "una": voce acuta o grave, viso vellutato o volto barbuto, mani delicate o forti... sono in molti a vivere intorno a lui e per lui lo stesso amore. Poi distinguerà papà e mamma: intuirà che egli è il frutto del loro comune amore; apprenderà che essi vivono l’uno per l’altro e tutti e due per lui, per i fratelli e le sorelle. Tutte queste persone care si imprimeranno chiaramente nella sua mente e nel suo cuore. E per capire tutto questo non ha avuto bisogno di un trattato scientifico e neppure di un corso accelerato.
Certo, non chiedete a questo bambino di definire filosoficamente la famiglia, la paternità, la maternità, ecc. Ma che importa? La famiglia non è un soggetto da recitare, ma è un luogo d’amore. Il bambino ha appreso che cosa è la famiglia, non attraverso delle formule, ma vedendola vivere e amare, sentendosi in essa amato, cercando di amare come essa e in essa.
È questo il modo con cui Dio ci ha rivelato il mistero della sua famiglia, della sua vita trinitaria.

sabato 11 aprile 2009

É PASQUA!!! É PASQUA!!!


É PASQUA!!!

É PASQUA!!!

FESTA DEI MACIGNI ROTOLATI….

PASQUA É:

INTUIRE CHE I FREMITI DI GIOIA

CHE SI SPERIMENTANO QUAGGIÙ

FANNO PARTE DI UN MARE DI FELICITÁ,

IN CUI UN GIORNO FAREMO TUTTI NAUFRAGIO!

IL RISORTO CI ILLUMINI DI GIOIA

E CI RIEMPIA DI FIDUCIA

PERCHÉ

DIO CI DÁ QUELLO CHE NON ABBIAMO IL CORAGGIO DI SOGNARE

( Mons. Tonino Bello )

***

In questo giorno santissimo, in cui la potenza dello Spirito Santo ci crea come uomini nuovi a immagine del Salvatore risorto e fa di noi il suo popolo santo, innalziamo la nostra preghiera unanime, perché la gioia della Pasqua si estenda nel mondo intero.

padre Lino Pedron

giovedì 9 aprile 2009

La morte di Gesù.

28 Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: « Ho sete ». 29 Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 30 E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò.

31 Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. 32 Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. 33 Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, 34 ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.

35 Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. 36 Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. 37 E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.

...

La morte di Gesù è la manifestazione massima del suo amore, che è l’amore del Padre. In essa il suo amore fedele splende in tutta la sua pienezza. E’ l’amore fino alla fine, che non cessa né si smentisce, capace di superare l’odio mortale.

All’odio sei suoi, che l’hanno condannato a morte e hanno eseguito la sentenza, Gesù risponde ancora con un gesto d’amore: manifestando la propria sete offre nuovamente loro la possibilità di accoglierlo, per evitare che si perdano per sempre. In risposta riceve il gesto dell’odio estremo simboleggiato dall’aceto; quanti lo respingono così pronunciano la loro sentenza.

Gesù beve l’aceto, accettando la morte che l’odio gli infligge, per mostrare la qualità dell’amore suo e del Padre. Viene così completato il progetto creatore: con il suo amore invincibile l’Uomo-Gesù mostra la propria condizione divina. L’atto di amore senza limite lo costituisce fonte di vita liberando la potenza dello Spirito che risiedeva in lui. Lo Spirito, che trasforma l’uomo comunicandogli l’amore fedele, costituisce il fondamento della nuova alleanza.

In questo momento supremo convergono di nuovo le due linee maestre del Vangelo: creazione completata e alleanza nuova, a opera dell’Uomo-Dio, il Messia universale.

Nella morte di Gesù culmina la realizzazione del progetto di Dio sull’uomo. L’Uomo, trasformato dallo Spirito di Dio, che ha risposto fino alla fine al suo dinamismo d’amore, è quello che è capace di donarsi volontariamente per amore degli altri, e che vince l’odio estendendo il suo amore, fino all’ultimo momento, agli stessi nemici che gli danno la morte. E’ così che si trasforma in fonte di vita.

Questa assoluta generosità, che ama fino alla fine senza esigere corrispondenza, è quella che rende l’uomo uguale a Dio, che è amore fedele, gratuito e generoso. Quando l’Uomo sviluppa la sua intera capacità d’amare, comincia il mondo definitivo, lo stadio finale dell’umanità.

Gesù sulla croce è il grande segno verso il quale convergono tutti i segni narrati nel Vangelo, e che dà a tutti la loro spiegazione e il loro pieno significato. E’ la chiave interpretativa della sua attività e la fonte della sua potenza salvifica.

E’ tuttavia paradossale che questo grande segno sia per così dire un anti-segno: un uomo condannato e morto su una croce. Nulla di più lontano da quanto ci si poteva attendere come manifestazione divina. Questo fatto si collega con il rimprovero di Gesù al funzionario regio (Gv 4,48). Questi attendeva da lui “segni prodigiosi”, quelli di un Dio situato al di fuori della storia e della stessa creazione, che in ogni suo intervento rompe il corso normale dei fatti ed è percepito come presenza abbacinante.

Come nella cena (Gv 15,5), appare la grande riconversione del concetto di Dio che Gesù realizza. Dio si manifesta nell’uomo stesso, partecipando in lui e con lui allo sviluppo della storia e imprimendo in essa il suo dinamismo dal di dentro. Condanna e morte, odio che si manifesta, sono fatti storici; Gesù, assumendoli, crea una nuova possibilità per l’uomo.

E’ questione decisiva giungere a captare questo segno: che Dio si manifesta soltanto nell’amore generoso capace di dare la vita. In questo sta la sua onnipotenza e in questo il fattore di cambiamento della storia. Tale amore è l’unica possibilità di redenzione dell’uomo; soltanto ciò lo può condurre alla pienezza e costruire la società nuova (J. Mateos J. Barreto, Il Vangelo di Giovanni, Cittadella Editrice, Assisi 1982).

domenica 5 aprile 2009

Giovedì della settimana santa

Lavanda dei Piedi

Dal Vangelo secondo Giovanni (13,1-20).

La lavanda dei piedi

1 Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. 2 Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, 3 Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4 si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. 5 Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. 6 Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7 Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». 8 Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9 Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». 10 Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». 11 Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi».

12 Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? 13 Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. 14 Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. 15 Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. 16 In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. 17 Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. 18 Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno. 19 Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. 20 In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».

Nell’episodio della lavanda dei piedi Gesù spiega con il suo gesto il fondamento della sua comunità: l’uguaglianza e la libertà sono il frutto dell’amore vicendevole. Offre il modello della vera grandezza, che non si fonda sull’onore umano (Gv 5,41) ma sulla somiglianza con Dio. Essere grande consiste nell’avere la gloria che viene da Dio solo (Gv 5,44), e che si identifica con il suo amore (Gv 1,14).

In questo episodio Gesù risponde al desiderio di farlo re, che i suoi discepoli espressero in 6,15 ed egli rifiutò. Rendendosi servitore mostra loro che la sua regalità non segue il modello di questo mondo (Gv 18,36).

Non si tratta di un atto di umiltà di Gesù, ma di un profondo e decisivo insegnamento. L’umiltà viene interpretata come una rinuncia a valori reali per altri più elevati; di fatto, consolida i falsi valori. Gesù va al di là. Nega validità a quelli che il mondo chiama valori: sono falsità e ingiustizie. I suoi, egli li eleva alla sua stessa categoria, quella di figli di Dio; non c’è rango più alto di questo; inoltre, questa è l’unica vera dignità dell’uomo. Ma essere figlio di Dio è inseparabile dall’essere uomo, perché la gloria di Dio, l’espressione del suo amore, è che l’uomo giunga a realizzare pienamente il suo progetto creatore. Rendendoli figli dell’unico Padre, Gesù fonda l’uguaglianza umana; la categoria di figlio dà la libertà all’uomo, che cessa di essere servo.

Gesù è la presenza di Dio tra gli uomini. Le sue azioni sono quelle del Padre (Gv 10,37). Prestando servizio ai discepoli esprime al tempo stesso il suo amore e quello del Padre. Il Padre si mette, con Gesù, al servizio dell’uomo. Da questo momento, Dio non è più un essere lontano, il sovrano celeste che guarda l’uomo dall’alto. Al contrario, è colui che vuole mostrare il suo amore innalzando l’uomo fino a se stesso.

L’idea di un Dio sovrano, col suo trono nel cielo, fonda il paradigma delle grandezze umane. I più potenti tra gli uomini sono quelli che gli somigliano di più. Sono l’immagine del Dio che schiavizza. Quando invece Dio è uomo e si pone al servizio dell’uomo (lavanda dei piedi), la più esatta copia di Dio è colui che serve (Cfr. Mt 18,1-5; 20, 25-28; Mc 9,33-37; 10,42-45; Lc 9,46-48; 22,24-27). Con Gesù, Dio ha lasciato il suo trono, si manifesta come amore senza limite, che accompagna l’uomo nella sua esistenza (Gv 14,23).

Il modo di somigliare al Dio geloso della sua trascendenza è rendersi in qualche modo trascendente attraverso la fama e il potere. Invece il modo di somigliare al Padre è amare fino alla fine, darsi totalmente per il bene dell’uomo, come Gesù (Gv 14,6: “Io sono il cammino … nessuno si avvicina al Padre se non per mezzo mio”). Il Padre, che è puro dono di sé, non ha bisogno di culto né lo richiede; il culto a lui si identifica con il servizio all’uomo, con l’amore fedele (Gv 4,23), che sarà l’unico comandamento (Gv 13,34). Per questo Gesù sopprime le categorie religiose dei templi e dei sacrifici (Gv 2,13ss; 4,21ss).

Gesù effettua una inversione totale della concezione tradizionale di Dio. E di conseguenza della sua relazione con l’uomo e degli uomini fra loro. Il Padre, che non esercita dominio, ma comunica vita e amore, non legittima alcun potere né dominio.

In Gesù, Dio ha recuperato il suo vero volto, deformato dall’uomo. Questi aveva proiettato su di lui le proprie ambizioni, timori, interessi e crudeltà. Gesù mostra che Dio è Padre e che si impegna a favore della sua opera, la creazione, per condurla alla pienezza; rifiuta e combatte tutto ciò che cerca di distruggerla (J. Mateos – J. Barreto, Il Vangelo di Giovanni, Cittadella Editrice, Assisi 1982).

venerdì 3 aprile 2009

18 - E in Gesù Cristo

pensiero261008_2 La nostra professione di fede si sviluppa in tre parti: credo in Dio Padre, credo in Gesù Cristo, credo nello Spirito Santo. La seconda parte è la più importante. La rivelazione di Gesù Cristo è la rivelazione del Padre e dello Spirito Santo. Il vero Dio, l’unico vero Dio esistente, è Trinità (unico Dio in tre persone).
La mente umana e i pensatori più geniali non potevano arrivare a "sospettare" e a comprendere questa verità. Noi la conosciamo solo perché ce l’ha rivelata Cristo. Per conoscere il vero Dio è necessaria la rivelazione, è necessario Cristo.
Gesù non è un’idea astratta, nata a tavolino: è un uomo. Un uomo che non ha mai cessato di affascinare l’umanità: l’uomo più amato e più combattuto.
Chi è Gesù
Gesù significa "Dio salva". Giuseppe chiamando "Gesù" il bambino che Maria aveva partorito a Betlemme, aveva obbedito a un ordine divino: "Lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,21).
Gli apostoli e i suoi contemporanei videro un uomo.
Questa è la carta di identità tramandataci dai vangeli:
- nato a Betlemme, in Palestina, al tempo dell’imperatore Augusto e del re Erode (Lc 2,1-7; Mt 2,1);
- professione: carpentiere (Mc 6,3);
- residenza: Nazaret in Galilea (Gv 1,45).
Videro un uomo:
- che aveva degli amici (Gv 11,3)
- che amava i bambini (Lc 9,36; 10,16)
- che sentiva compassione (Lc 7,11-15; Mc 6,30-44)
- che piangeva (Lc 19,41-44; Gv 11,1-44)
- che andava in collera (Mc 3,1-6; 10,13-16; Gv 2,13-17)
- che pregava (Mc 1,35) e andava regolarmente ogni sabato alla sinagoga (Lc 4,14)
- che soffriva fisicamente e moralmente (Mt 26,38)
- che moriva (Mt 27,50)
Videro un uomo, un Gesù, che non sapeva tutto, non aveva una scienza universale non necessaria per la sua missione (Mt 24,36).
Videro un uomo, non una marionetta teleguidata da Dio, un uomo libero.
Videro un uomo in tutto simile a noi, fuorché nel peccato (Rm 8,3; Fil 2,7; Eb 2,17).
Ma Gesù era anche un uomo sorprendente. La gente del suo tempo rimane stupita, spaventata, scandalizzata, perplessa. "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono" (Mc 1,27). "Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?" (Mc 2,7). "Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?" (Mc 4,41).
A Cesarea di Filippo Gesù interroga i suoi discepoli: "Chi dice la gente che io sia?" Ed essi gli risposero: "Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti!". Ma egli replicò: "E voi chi dite che io sia?". Pietro gli rispose: "Tu sei il Cristo". (Mc 8, 27-29). L’uomo Gesù è il Cristo.
Che cosa vuol dire Cristo?
Gesù è il Cristo al punto che quasi i due titoli vanno uniti: Gesù Cristo. Tuttavia "Cristo" non è un nome come "Gesù". "Cristo" è la traduzione greca dell’aggettivo aramaico "messia": essi hanno esattamente lo stesso significato.
L’evangelista Giovanni ci riporta in aramaico l’esclamazione di Andrea rivolta al fratello Simon Pietro: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo) e lo condusse da Gesù" (Gv 1, 41). Messia o Cristo è "colui che ha ricevuto l’unzione d’olio".
Nell’Antico Testamento, l’olio sacro dell’unzione versato sulla testa di qualcuno rappresenta il rito con cui Dio consacra un profeta, un sommo sacerdote, o un re.
È il segno sensibile ed efficace della comunicazione dello Spirito Santo a colui al quale è stata affidata una missione a servizio di Dio e del suo popolo (Es 30,22-33; 1Sam 16,1-13).
Tra i tanti messia che c’erano stati nella storia di Israele si stava aspettando l’arrivo de "il Messia", il "discendente di Davide", "il re d’Israele". Gesù il Messia, povero, perseguitato, perdente, morto in croce, non se l’aspettava nessuno, non piaceva a nessuno.
Anche i suoi amici più intimi, gli apostoli, si erano stretti attorno a lui lasciando il lavoro e la famiglia (Mc 1,16-20) sperando di "far carriera" (Mc 10,35-40). Si controllavano e si litigavano per avere gli "avanzamenti", i primi posti (Mc 10,35-40). Il popolo di Israele attendeva un re guerriero, un liberatore politico che desse lustro alla Gerusalemme terrestre. Dopo la morte di Gesù alcuni stavano tornando a casa loro e alle loro faccende, delusi e tristi: "Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele" (Lc 24,21). E proprio nell’imminenza della sua ascensione al cielo Gesù si sente ancora rivolgere la domanda: "Signore, è questo il tempo in cui ricostruirai il regno d’Israele?" (At 1,6).
Gesù ha dovuto lottare tutta la vita contro satana, contro i giudei e gli stessi discepoli che satana metteva come intralcio sul cammino del Cristo per deviarlo dalla sua missione e dalla volontà del Padre (Mt 16,21-25). Gesù spiega ai suoi intimi il segreto della sua messianicità: "Devo soffrire molto e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno" (cfr. Mt 16,21). Per Gesù, "messia" ha significato concretamente: unto, consacrato dallo Spirito santo e battezzato nel proprio sangue per dare la vita agli altri.

Il Santo Natale - Commento di padre Fernando Armellini

Diffondi la Parola - Natale del Signore - 25 dicembre 2011

I Dehoniani

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