domenica 7 novembre 2010

4. Il pasto eucaristico



Il pane e il vino, frutti della terra e del lavoro dell’uomo, sono naturalmente destinati a essere condivisi a tavola. Il Signore, infatti, istituì l’eucaristia mentre cenavano (Gv 13,2), cioè durante un pasto: a mensa con i dodici (Mt 26,20). L’eucaristia è un pasto condiviso: Prendetelo e distribuitelo tra voi (Lc 22,17).
Un pasto condiviso è molto più del nutrirsi e del dissetarsi: è un importante gesto umano!
È una celebrazione rituale della famiglia, della fraternità, dell’amicizia, dell’ospitalità, della riconciliazione. Il simbolo dell’eucaristia non è l’atto del mangiare, ma quello di condividere nella comunione fraterna: condividere il pasto con qualcuno significa riconoscerlo come fratello. ...

Il sacramento dell’eucaristia non consiste principalmente nella presenza reale di Cristo, ma nel mangiare Cristo insieme, in un pasto fraterno.
Ogni sacramento è presenza reale di Cristo. Egli è presente in ogni comunità unita nel suo nome; è presente nella sua parola. L’eucaristia è mangiare e bere Cristo insieme; è la frazione del pane consacrato e la condivisione del vino consacrato.
Il pasto deve essere un’assemblea. Purtroppo il nostro mondo industrializzato, schiacciato dal progresso (!) non ha più tempo di radunarsi gratuitamente e di condividere fraternamente tra convitati. Ci si nutre, è vero: si ingoia, ci si abbuffa; oppure si insacca un panino, si mangia a raffica al self-service senza una parola, senza posare lo sguardo su un volto amico. Nella Bibbia e presso i popoli che noi chiamiamo primitivi ogni pasto introduce nell’incontro con gli altri e con l’Altro... Il ruolo naturale del pasto, infatti, oltre ad alimentare, è di riunire, di creare la comunione degli spiriti e dei cuori, di condividere gli alimenti terrestri e spirituali. Non si invita un nemico; oppure, se lo si invita, è un gesto espressivo di perdono nel tentativo sincero di farselo amico. Essere traditore proprio mentre si prende il boccone dell’amicizia significa essere posseduti dal demonio, come Giuda (Gv 13,27).
Un pasto umano raduna dei fratelli, o rende fratelli coloro che raduna.
Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: "Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?".
Gesù li udì e disse: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori
(Mt 9,10-13).
Abbiamo qui il senso sconvolgente dei pasti di Gesù. Il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori; si comporta come fratello dei peccatori. E questa misericordia li fa ritornare amici di Dio e dei fratelli.
Se un pasto comune produce risultati così esaltanti, quanto più ciò sarà vero a proposito di quel pasto che è l’eucaristia, Gesù mangiato e condiviso. Nelle scorpacciate, la bocca è soltanto mascelle sul piatto. Nei pasti fraterni è innanzitutto labbra, lingua e sorriso: è parola e conversazione: condivisione di novità, di idee e di sentimenti più che di pane e di sale.
La messa dei tempi andati ci ha forse abituati più a tacere che a parlare, a stare seri che a sorridere, a raccoglierci in un individualismo estatico più che a cantare allegramente. È perciò necessario ritrovare al più presto anche quelle parole spontanee e improvvisate che ciascuno si sente di dire nell’incontro caldo e fraterno (preghiera dei fedeli, scambio della pace, ringraziamento). Altrimenti i giovani andranno a cercare nelle sette e nelle discoteche quella calda atmosfera che Cristo amava condividere con i suoi commensali.
Un pasto è, infine, condivisione. Un pasto fatto da ciascuno per conto suo non è più un pasto. Lo afferma con forza Paolo: Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco (1Cor 11,20-21).
Il pane è per tutti. Il calice deve passare di mano in mano, di labbro in labbro. Per tutti e per ciascuno devono essere gli sguardi, i sorrisi, i gesti e le parole. Condividere!
Ma condividere è ben diverso che dare... Si dà ciò che è proprio.
Il dare mette gli altri nella spiacevole situazione di debitori.
Il condividere, invece, li rende liberi.
Non condivido ciò che è mio, condividiamo del nostro, perché il Padre celeste ce l’ha dato: è lui la fonte di tutto. Quanto è preziosa la tua grazia, o Dio! Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali, si saziano dell’abbondanza della tua casa e li disseti al torrente delle tue delizie. È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce (Sal 36,8-10). Come preparazione alla comunione la liturgia ci fa pregare: Padre nostro... dacci oggi il nostro pane. È il suo pane che diventa nostro, mai mio. Se siamo coscienti di ciò, nascono spontanee l’umiltà, la benedizione, l’eucaristia.
Anche in un’economia atea di capitalismo e di proprietà individualistica esasperata, un uomo, degno di questo nome, dovrà vivere i suoi pasti e le sue messe in una mentalità e in un clima di fraternità di cui la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme resta l’ideale:
Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo (At 2,44-47).

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