martedì 1 dicembre 2009

50 - La remissione dei peccati

WEB 1 BATTESIMO Questo articolo del credo ci rinvia subito e direttamente a un sacramento. La remissione dei peccati rinvia non tanto alla penitenza, alla confessione-assoluzione, quanto al battesimo.
Il credo della messa precisa bene questo punto, facendoci proclamare: Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Il dono pasquale di Gesù al mondo, la missione costitutiva deIla Chiesa risiedono dunque nella remissione dei peccati: un’effusione dello Spirito che fa della comunità dei credenti il luogo e lo strumento della remissione dei peccati, della vita nuova, della vita divina negli uomini redenti; la culla della nuova nascita dell’umanità e del mondo. "Ricevete lo Spirito santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi" (Gv 20,22).
Il battesimo è il punto di partenza della conversione di tutta la vita. Il battesimo rimane il segno costitutivo della vita cristiana. È al battesimo che rinvia immediatamente la nostra fede nella "remissione dei peccati". Il sacramento della confessione-penitenza viene solo come supplenza, come un secondo battesimo, che rinvia al nostro stato di battezzati per consolidarlo, potenziarlo e rinnovarlo.
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Peccato - Peccatore
Leggendo il vangelo di Giovanni (Gv 8,1-11) possiamo cogliere l’atteggiamento di Gesù verso il peccato e verso il peccatore. Gesù puntò il dito verso terra per non alzarlo né contro l’accusata né contro i suoi implacabili accusatori. Gesù li ama tutti, intensamente, singolarmente. E tutto finì con una confessione generale e con un perdono generale. Parliamo dunque di amore.
Dio-Amore vuole vivere con il suo popolo un profondo rapporto d’amore. Il peccato consiste nello spezzare, coscientemente, volutamente, malvagiamente, questo profondo rapporto d’amore. Il peccato è un adulterio, il tradimento di un patto d’amore (cfr Ez 16).
È un rifiuto del Padre, della sua amicizia, della sua familiarità, della dipendenza necessaria che lega i figli al padre (cfr Gen 3).
Vero Padre, Dio ha creato l’uomo per amore, facendolo, come ogni genitore, a sua "immagine e somiglianza". Gli ha comunicato tutti i suoi beni, compresa la vita divina. Il peccato è la pretesa di rompere questo rapporto filiale, di mangiare "dell’albero della conoscenza del bene e del male" (Gen 2,17), cioè la pretesa di non avere nessuno al di sopra di se stesso, d’essere legge a se stesso, di decidere come si vuole su quanto è bene e su quanto è male, allorché il Padre sa di che cosa abbiamo bisogno (cf. Mt 6,32).
Questa legge del Padre non ha nulla che faccia pensare a un imperativo esteriore o a una proibizione arbitraria. È un rapporto d’amore più che di signoria: una legge di amore filiale. È una pazzia separarsi da colui dal quale ci viene ogni cosa. Il peccato è il rifiuto della condizione filiale e della dipendenza di vita e d’amore.
Ed ecco come conseguenza immediata e sommamente deludente la paura di Dio, l’angoscia della colpevolezza. "Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura... e mi sono nascosto" (Gen 3,10). Risultato ancora più lacerante e drammatico, la morte; ci si sente tagliati dall’albero della vita.
La rottura nei confronti del Padre trascina con sé, come in una reazione a catena, la rottura coi fratelli. Spezzata la catena, tutte le perle si sparpagliano e si disperdono.
- È finita la famiglia coniugale: "La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato" (Gen 3,12);
- È finita la famiglia fraterna: "Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise" (Gen 4,8);
- È finita la famiglia sociale: "Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino ma Lamech settantasette" (Gen 4,23-24);
- È finita la famiglia umana (Gen 11, 1-9. La torre di Babele).
Rileggiamo i primi undici capitoli della Genesi: è la triste epopea del "peccato del mondo", d’un mondo in cui l’egoismo degli individui e dei gruppi ha sostituito la legge dell’amore.
Chi pretende di costruire se stesso indipendentemente da Dio, si metterà contro gli altri, strumentalizzerà gli altri, soprattutto i piccoli e i deboli. Il "peccato del mondo" è il peccato di chi abusa della sua forza (religiosa, politica, economica, culturale, fisica, ecc.) per occupare un posto vantaggioso sulle rovine, l’oppressione e lo sfruttamento dei deboli. È questo il peccato che ha ucciso Dio in Gesù Cristo. Tale è il peccato nella rivelazione dell’Antico Testamento: dramma dell’amore, dramma coniugale fra sposi (Dio e il suo popolo), dramma familiare fra Padre e figli.
Gesù dirà la stessa cosa con altre immagini e altri termini. Il peccatore è colui che si soffoca nelle ricchezze, negli affari, nei piaceri di questo mondo al punto di essere attirato più da questi idoli che dagli appelli di Dio (cfr Lc 14,16-20).
Gli invitati al banchetto adducono la scusa d’un terreno da vedere, di buoi da provare, d’una donna da non lasciare sola per una sera.
Falciare un prato, aggiogare un paio di buoi, sposarsi, tutto questo non è cattivo o proibito da nessun comandamento. Il peccato è mettere Dio all’ultimo posto, dopo tutto il resto, anche se vado a messa tutte le domeniche.
Il peccato non è l’agire quotidiano, ma il dimenticare la presenza sconvolgente dell’amore al centro di questa quotidianità; il costruire la nostra vita come se Dio non ci fosse.
La vita di una settimana non è formata da tre quarti d’ora dedicati, in qualche modo, alla messa.
Il peccato è questa mancanza d’attenzione quotidiana all’essenziale, è l’indifferenza alla continua presenza di Dio, è la preferenza accordata a persone e cose che non sono Dio o sono viste fuori dalla visione di Dio e del suo amore. Questa è una vita da adulteri!
Il peccato è anche rifiuto della condizione filiale (cfr Lc 15,11-32). Alla larga dal Padre. E quindi, alla larga anche dal fratello, il più possibile (cfr Lc 16,19-31). Il ricco della parabola, avvolto nella sua porpora e nel suo lusso, si rimpinza, mentre Lazzaro guarda invano alle briciole. Il sacerdote e il levita escono dal tempio e pensano di essere a posto; non è faccenda loro se il ferito sta morendo sul ciglio della strada (cf. Lc 10,30-37).
Dobbiamo rileggere tutto il cap. 7 di Marco. I farisei attribuiscono enorme importanza alle pratiche esteriori, alle tradizioni degli antichi e agli usi legali. Il Signore invece vede la legge e quindi il peccato, nel cuore dell’uomo, nei comportamenti dell’uomo verso i propri fratelli: "Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo" (Mc 7,20-23).

(segue)

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