Dobbiamo renderci conto che Dio vede la sofferenza in modo diverso dal nostro. Dio ha una concezione molto positiva sulla sofferenza come mezzo, al punto che egli accoglie per se stesso il dolore come strada necessaria. Ai discepoli di Emmaus Gesù spiega: "Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" (Lc 24,26). E agli apostoli: "In verità, in verità, vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12,24).
Secondo il modo di vedere di Dio e nell’esperienza di Gesù, la sofferenza della passione sfocia nella gloria della risurrezione, la morte di uno è la vita di tutti.
L’uomo non sa assolutamente liberarsi dal suo egoismo di grano sterile e pensa di trovare la vita conservandola per sé. Gesù insegna: "Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita, per causa mia, la troverà" (Mt 10,39).
La sofferenza dell’uomo e del mondo è un radicale mutamento, una spinta urgente verso una vita diversa e migliore. Per questo è lacerazione, sbriciolamento, trauma, morte. È una legge generale. Morte della crisalide che diventa farfalla, annientamento dell’uovo che diventa pulcino, marcire del chicco che diventa spiga e messe, sgomberare il terreno dalla baracca per costruirvi un grattacielo. Dice il prefazio della liturgia eucaristica funebre "Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta ma trasformata: e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata una abitazione eterna nel cielo".
La madre vuole i dolori del parto; li vorrebbe anche il figlio se sapesse che rappresentano la condizione perché da embrione diventi un uomo: "La donna, quando partorisce, è afflitta perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione, per la gioia che