domenica 5 aprile 2009

Giovedì della settimana santa

Lavanda dei Piedi

Dal Vangelo secondo Giovanni (13,1-20).

La lavanda dei piedi

1 Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. 2 Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, 3 Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4 si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. 5 Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. 6 Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7 Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». 8 Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9 Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». 10 Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». 11 Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi».

12 Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? 13 Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. 14 Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. 15 Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. 16 In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. 17 Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. 18 Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno. 19 Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. 20 In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».

Nell’episodio della lavanda dei piedi Gesù spiega con il suo gesto il fondamento della sua comunità: l’uguaglianza e la libertà sono il frutto dell’amore vicendevole. Offre il modello della vera grandezza, che non si fonda sull’onore umano (Gv 5,41) ma sulla somiglianza con Dio. Essere grande consiste nell’avere la gloria che viene da Dio solo (Gv 5,44), e che si identifica con il suo amore (Gv 1,14).

In questo episodio Gesù risponde al desiderio di farlo re, che i suoi discepoli espressero in 6,15 ed egli rifiutò. Rendendosi servitore mostra loro che la sua regalità non segue il modello di questo mondo (Gv 18,36).

Non si tratta di un atto di umiltà di Gesù, ma di un profondo e decisivo insegnamento. L’umiltà viene interpretata come una rinuncia a valori reali per altri più elevati; di fatto, consolida i falsi valori. Gesù va al di là. Nega validità a quelli che il mondo chiama valori: sono falsità e ingiustizie. I suoi, egli li eleva alla sua stessa categoria, quella di figli di Dio; non c’è rango più alto di questo; inoltre, questa è l’unica vera dignità dell’uomo. Ma essere figlio di Dio è inseparabile dall’essere uomo, perché la gloria di Dio, l’espressione del suo amore, è che l’uomo giunga a realizzare pienamente il suo progetto creatore. Rendendoli figli dell’unico Padre, Gesù fonda l’uguaglianza umana; la categoria di figlio dà la libertà all’uomo, che cessa di essere servo.

Gesù è la presenza di Dio tra gli uomini. Le sue azioni sono quelle del Padre (Gv 10,37). Prestando servizio ai discepoli esprime al tempo stesso il suo amore e quello del Padre. Il Padre si mette, con Gesù, al servizio dell’uomo. Da questo momento, Dio non è più un essere lontano, il sovrano celeste che guarda l’uomo dall’alto. Al contrario, è colui che vuole mostrare il suo amore innalzando l’uomo fino a se stesso.

L’idea di un Dio sovrano, col suo trono nel cielo, fonda il paradigma delle grandezze umane. I più potenti tra gli uomini sono quelli che gli somigliano di più. Sono l’immagine del Dio che schiavizza. Quando invece Dio è uomo e si pone al servizio dell’uomo (lavanda dei piedi), la più esatta copia di Dio è colui che serve (Cfr. Mt 18,1-5; 20, 25-28; Mc 9,33-37; 10,42-45; Lc 9,46-48; 22,24-27). Con Gesù, Dio ha lasciato il suo trono, si manifesta come amore senza limite, che accompagna l’uomo nella sua esistenza (Gv 14,23).

Il modo di somigliare al Dio geloso della sua trascendenza è rendersi in qualche modo trascendente attraverso la fama e il potere. Invece il modo di somigliare al Padre è amare fino alla fine, darsi totalmente per il bene dell’uomo, come Gesù (Gv 14,6: “Io sono il cammino … nessuno si avvicina al Padre se non per mezzo mio”). Il Padre, che è puro dono di sé, non ha bisogno di culto né lo richiede; il culto a lui si identifica con il servizio all’uomo, con l’amore fedele (Gv 4,23), che sarà l’unico comandamento (Gv 13,34). Per questo Gesù sopprime le categorie religiose dei templi e dei sacrifici (Gv 2,13ss; 4,21ss).

Gesù effettua una inversione totale della concezione tradizionale di Dio. E di conseguenza della sua relazione con l’uomo e degli uomini fra loro. Il Padre, che non esercita dominio, ma comunica vita e amore, non legittima alcun potere né dominio.

In Gesù, Dio ha recuperato il suo vero volto, deformato dall’uomo. Questi aveva proiettato su di lui le proprie ambizioni, timori, interessi e crudeltà. Gesù mostra che Dio è Padre e che si impegna a favore della sua opera, la creazione, per condurla alla pienezza; rifiuta e combatte tutto ciò che cerca di distruggerla (J. Mateos – J. Barreto, Il Vangelo di Giovanni, Cittadella Editrice, Assisi 1982).

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