lunedì 20 aprile 2009

19 – Gesù Cristo, Suo unico Figlio

Gesù risorto - 01 Solo poco per volta i discepoli scoprirono in Gesù di Nazaret una presenza speciale di Dio. Solo dopo la sua risurrezione e la pentecoste, ebbero la certezza che Gesù era Dio in persona.
Che itinerario seguirono gli apostoli per arrivare a questa scoperta? I miracoli.
I Giudei del tempo di Gesù avevano la testa piena di miracoli. Miracoli grandiosi come le piaghe d’Egitto, il mare diviso dal bastone di Mosè, la manna piovuta dal cielo, ecc. Prima di Gesù i profeti avevano risuscitato morti, guarito lebbrosi, moltiplicato pane e olio, ecc.
I miracoli di Gesù non erano più sensazionali di quelli dei suoi predecessori. Anzi, paragonato a Mosè, Gesù ne usciva abbastanza ridimensionato: un messia debuttante.
Nonostante che Mosè avesse fatto miracoli più clamorosi di quelli di Cristo, nessuno mai lo aveva creduto Dio. Ciò che attribuisce ai miracoli di Gesù un peso inaudito, una differenza sostanziale, una caratteristica unica rispetto ai miracoli di Mosè e dei profeti, è questo: i miracoli di Gesù sono miracoli personali.
Gesù aveva il potere personale di fare i miracoli.
Nell’Antico Testamento i profeti annunziano che Dio farà i miracoli: essi sono solo strumenti. Quando Elia risuscita un ragazzo (1 Re 17,17-24) invoca il Signore e il Signore lo ascolta. Quando Gesù risuscita un ragazzo (Lc 7,11-17) fa un semplice gesto, dice una sola parola senza invocare Dio: " Gesù accostatosi toccò la bara..." Poi disse: "Giovinetto, dico a te, alzati!" Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare" (Lc 7,14-15).
Il miracolo (questo e altri) è importante non tanto per il beneficio che produce al fortunato destinatario, ma perché è "un segno", una prova che Dio è d’accordo e mette la sua firma su quanto Gesù fa e dice. Questo sarà l’argomento dimostrativo e convincente che gli apostoli tireranno fuori fin dal primo discorso. "Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret -uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete - dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere" (At 2,22-24).
I fatti del Vangelo rivelano che Gesù è uomo e Dio. Il Padre ha mandato il Figlio suo a farsi uomo perché in quest’uomo noi conoscessimo e amassimo Dio.
Gesù è il Figlio unigenito del Padre (Cf. Gv 1,14-18; 5,16-18) venuto a rivelare il vero volto di Dio. "Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1,18). E Gesù ci ha presentato Dio come "pluralità" di persone. Ha presentato il Padre, se stesso e lo Spirito santo. "Rispose Gesù: "Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole: la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora con voi. Ma il Consolatore, lo Spirito santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto" (Gv 14,23-26).
I vangeli non hanno mai fatto la somma dei Tre, non hanno parlato di Trinità, non usano nemmeno il termine "persona". La realtà di Dio non può essere racchiusa in parole o formule: ci sta stretta o non ci sta affatto.
John Robinson scrive nel suo libro "Questo non posso crederlo": "Una volta, alla fine di una mia conferenza, qualcuno mi pose questa domanda: "Come insegnerebbe a un bambino la dottrina della Trinità?". Di rado mi ero sentito rivolgere un quesito così facile: "Non gliela insegnerei affatto!".
John Robinson ha ragione! La Trinità è la famiglia di Dio. Ora le realtà della famiglia non si racchiudono in fredde lezioni, come se fossero matematica o geometria, ma si vivono, e possono essere progressivamente comprese attraverso l’esperienza vissuta.
Il neonato non sa di avere una famiglia e non sa cosa sia una famiglia. Fin dalle prime settimane di vita si sente circondato da tanto amore, intuisce attorno a sé una tenerezza che risponde a tutte le sue necessità. Coglie questa tenerezza come "una", indistinta, ma onnipotente e buona, attenta e premurosa. In seguito scoprirà che questa presenza è "molteplice" senza cessare di essere "una": voce acuta o grave, viso vellutato o volto barbuto, mani delicate o forti... sono in molti a vivere intorno a lui e per lui lo stesso amore. Poi distinguerà papà e mamma: intuirà che egli è il frutto del loro comune amore; apprenderà che essi vivono l’uno per l’altro e tutti e due per lui, per i fratelli e le sorelle. Tutte queste persone care si imprimeranno chiaramente nella sua mente e nel suo cuore. E per capire tutto questo non ha avuto bisogno di un trattato scientifico e neppure di un corso accelerato.
Certo, non chiedete a questo bambino di definire filosoficamente la famiglia, la paternità, la maternità, ecc. Ma che importa? La famiglia non è un soggetto da recitare, ma è un luogo d’amore. Il bambino ha appreso che cosa è la famiglia, non attraverso delle formule, ma vedendola vivere e amare, sentendosi in essa amato, cercando di amare come essa e in essa.
È questo il modo con cui Dio ci ha rivelato il mistero della sua famiglia, della sua vita trinitaria.

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