lunedì 5 ottobre 2009

42 - Di là verrà a giudicare i vivi e i morti

michelangelo-giudizio-universale Il cristianesimo non è una faccenda privata fra Dio e il singolo. La parabola vera del giudizio (Mt 25,31-46) ci insegna l’identità tra la causa degli uomini e quella di Gesù: tutto avviene nel contesto di un confronto generale.
La Scrittura non ricorda mai direttamente il giudizio particolare (individuale) mentre il solo Nuovo Testamento parla più di settanta volte del giudizio universale.
La parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro (Lc 16,19-31) e la promessa fatta da Gesù al buon ladrone: "In verità ti dico oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23,43) ci portano però a credere che c’è una retribuzione prima del giudizio finale. In tale senso si è espressa anche la dottrina della Chiesa.
Il nostro incontro con Dio non avrà nulla a che vedere con una procedura d’accusa, di difesa, di sentenza; né con un particolareggiato rendiconto di chi deve presentare un bilancio. Non ci troveremo a faccia a faccia con un Dio irritato, scrupolosamente documentato sui nostri misfatti per poterceli gettare violentemente in faccia senza dimenticarne alcuno. Tutto quanto non è amore non ha nulla a che vedere con Dio. Quindi questo "giudizio" va inteso come un attesissimo incontro tra due amici; non ha nulla di terribile e ha tutto di stupendamente bello; è l’incontro con l’Amore in persona, con la tenerezza assoluta; è l’immersione totale nell’"ampiezza, lunghezza, altezza e profondità dell’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza e ci ricolma di tutta la pienezza di Dio" (cfr Ef 3,18-19).
Certamente esiste anche il giudizio di condanna per coloro che rifiutano l’amore: Dio rispetta la libertà dell’uomo proprio perché lo ama.

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