domenica 13 settembre 2009

39 - Il terzo giorno risuscitò da morte - I discepoli di Gesù raccontano la fede: i racconti evangelici.

cenacolo 3) I racconti evangelici. Abbiamo udito i discepoli annunciare la loro fede ai non credenti (il kerygma) e celebrarla nelle loro comunità (credo, cantici). Il centro di questa fede è sempre uguale: Dio ha risuscitato, glorificato, fatto Signore, questo Gesù che era stato crocifisso.
La stessa fede viene espressa anche nei racconti evangelici. Qui non si afferma la fede in brevi formule, ma la si racconta, la si fa vedere. Il racconto evangelico corrisponde al bisogno di una comunità già costituita che vuole saperne di più sul significato dell’evento.


I racconti non dicono sugli avvenimenti più di quanto già sapevamo dalle brevi formule del kerygma; essi lo dicono solamente in un altro modo e ne sviluppano il significato.
I quattro vangeli seguono, in ordine di tempo, immediatamente le lettere di Paolo. Il vangelo di Marco è composto negli anni 67/70, quello di Luca tra il 70 e 1’80, quello di Matteo verso gli anni 80, quello di Giovanni negli ultimi anni del primo secolo.
Nei vangeli non c’è un racconto della risurrezione e questa assenza del racconto della risurrezione è la migliore garanzia che i vangeli non sono opera di falsari. Gli apocrifi ci avrebbero sommersi con un’infinità di particolari. In se stessa, dunque, la risurrezione non ebbe testimoni.
Alcune persone andarono al sepolcro di Gesù il mattino di Pasqua e lo trovarono vuoto. È questo il solo racconto comune ai quattro vangeli. La tomba vuota non prova niente, non spiega niente, ma rinvia al mistero, a una rivelazione angelica: "Non è qui" (Mt 28,6).
Se ci fosse stato solo il sepolcro vuoto, non avremmo mai avuto una fede pasquale. Quest’ultima nasce perché ci furono le apparizioni di Cristo. Ma se la tomba non fosse stata vuota, le apparizioni non sarebbero state credibili.
Gli apostoli e i discepoli non hanno visto uno spirito evanescente, disincarnato, un fantasma, ma lui realmente vivo. Gesù stesso li assicura: "Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho" (Lc 24,39). Invita Tommaso a fare la ricognizione delle sue cicatrici (Gv 20,27). Condivide il loro cibo (Gv 21,12). È veramente presente nell’evidenza della sua realtà fisica.
La risurrezione è tutto il contrario di un avvenimento inventato dai discepoli. Tale avvenimento si è imposto loro dall’esterno, li ha convinti nonostante la loro incredulità: "Ancora non credevano ed erano stupefatti" (Lc 24,41). Tommaso rimarrà famoso fino alla fine dei secoli per la sua incredulità; solo l’evidenza palpabile del fatto lo costringerà ad arrendersi. Paolo sulla strada di Damasco ha tutto fuorché la fede quando il Signore lo atterra: era un non credente militante che si prodigava a perseguitare i credenti. Gesù ha imposto l’evidenza della sua risurrezione a persone che non credevano e che vedendolo davanti a loro, cominciarono a dubitare della stessa evidenza (cfr Mt 28,17; Mc 16,14).
Gesù Cristo è risorto e noi ne siamo testimoni, noi cristiani, noi Chiesa. La morte è stata vinta e noi ne siamo testimoni. Vinta con una vittoria reale, universale, definitiva. Cristo ha vinto la morte del mondo! Noi cristiani conosciamo un fatto che interessa tutti gli uomini perché si oppone alla morte di tutti: Gesù Cristo ha vinto la morte degli uomini. La nostra fede è un fatto di portata mondiale. Tutti gli uomini sono sottoposti alla morte e a tutti fa piacere che uno, Cristo Gesù, abbia trovato il rimedio, l’antidoto per tutti contro la morte.
Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno" (Gv 11,25-26). "Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria (sulla morte) per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!" (1Cor 15,57).
Se giunge alle orecchie degli uomini la notizia che la morte è vinta, allora il rischio non è più un rischio, il sacrificio non è più un suicidio, l’invecchiamento non è più una catastrofe, la vita non è più una prigionia in attesa della forca. Come per Cristo anche per il cristiano e per ogni uomo di buona volontà che cerca Dio con cuore sincero, la morte è "l’ora di passare da questo mondo al Padre" (Gv 13,1), dalla vita alla Vita.

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