giovedì 15 gennaio 2009

7 - Padre di tutti e di ciascuno

In ogni pagina della Bibbia cogliamo l’azione paterna di Dio in mezzo agli uomini suoi figli. Dio non fa chiacchiere d’amore, non si perde in vuote dichiarazioni come i paternalisti. Si chiama "Io-Sono-qui" (Es 3,14), e la sua grande famiglia ne constata la presenza e l’azione potente negli avvenimenti della propria vita. Solo successivamente Dio parla per far capire chi egli è: "Non è lui il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e che ti ha costituito?" (Dt 32,6).
Israele è sì un figlio degenere, ma un figlio che sa a chi rivolgersi, che sa quale corda toccare: "Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito della tua tenerezza e la tua misericordia? Non forzarti all’insensibilità perché tu sei nostro padre... Tu, Signore; tu sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore" (Is 63,15-16). E la fiducia di questo Israele impenitente avrà sempre l’ultima parola perché Dio ha un debole per lui: "Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? Infatti, dopo averlo minacciato, me ne ricordo sempre più vivamente. Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza. Oracolo del Signore" (Ger 31,20). Pedagogo paziente, perché Padre perfetto, Dio nell’Antico Testamento ha svelato solo una piccola parte del mistero infinito della sua paternità.
Attraverso la storia dell’Antico Testamento si è rivelato Padre solo di un gruppo particolare, del popolo d’Israele. Ma la rivelazione del Vangelo, di tutto il Nuovo Testamento è questa: Dio è Padre di tutti i popoli, di tutti gli uomini; è Padre d’ogni uomo di qualunque razza e di qualunque colore, del buono e del peccatore, dell’"ultimo". Il Padre che è nei cieli mi conosce personalmente, pensa a me e mi ama. Io, che forse sono senza importanza per tutti, non sono senza importanza per lui; io conto molto per lui.
Padre "celeste" o Padre che sei nei "cieli" non significa affatto Padre tra le nuvole, lontano, altrove rispetto a noi. Non esiste un altrove. Tali termini sono un’espressione di san Matteo in sostituzione del termine "Dio" che non si osava pronunciare in ambienti giudeo-cristiani; significano, quindi, "Padre Dio", Padre nostro che sei Dio. S. Teresa di Lisieux traduceva "Padre nostro che sei nei cieli" così: "Papà, che sei il buon Dio".
"Papà, il buon Dio" si occupa di ciascuno come se fosse il suo unico figlio. "Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia! Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!" (Mt 10,29-31).
Così la preoccupazione per l’alloggio, il cibo, il vestito è superata per un figlio di Dio. Certo, sono necessari il lavoro, la previdenza, ma l’affanno no: "Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno... Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena" (Mt 6,32-34).
Dio è Padre di tutti. Tutti sono figli del buon Dio: il nero e il bianco, l’arabo e l’israeliano, il bandito e il santo, il credente e il miscredente. Egli ama tutti con lo stesso cuore paterno e comanda a noi di fare altrettanto: "Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? ... Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli" (Mt 5,44-47).

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