mercoledì 11 maggio 2011

13. Ma guarisce davvero questa medicina?

 Il no del sacerdote è un "non ancora"
L’espressione di Cristo: A chi non rimetterete i peccati resteranno non rimessi, non autorizza la Chiesa a negare il perdono a chi è veramente pentito e deciso a riparare.
Solo chi rifiuta di aprirsi a Dio con un pentimento sincero, chi rifiuta di riconciliarsi con i fratelli nella Chiesa, resta prigioniero del suo peccato e la Chiesa deve prenderne atto e dirlo chiaramente all’interessato. ...
Ma neanche quando la Chiesa fosse costretta a giudicare che, in base a quanto appare esternamente, non esistono ancora in un’anima i segni di una conversione neppure iniziale, anche allora la Chiesa non è mai autorizzata a proclamare la sconfitta definitiva dell’amore di Dio. Il no del sacerdote è sempre soltanto un non ancora. Il giudizio della Chiesa, per quanto serio, è sempre basato solo sui segni esterni del pentimento mostrati dal penitente. Solo Dio vede il cuore dell’uomo nella sua insondabile profondità. Dio solo è il signore del futuro. La Chiesa continua a pregare per il peccatore che essa crede di non poter ancora assolvere, continua ad annunciargli la parola di Dio, e a sperare che Dio trovi la strada per arrivare al cuore di ogni uomo, anche di chi sembra non essersi ancora arreso al suo amore.
La parola di assoluzione della Chiesa ha una sua specifica efficacia sacramentale: è una parola di grazia; mentre annuncia la misericordia di Dio, la rende presente e operante. Per chi non chiude il cuore a questa grazia, la parola di perdono della Chiesa, che è la parola di perdono di Dio, opera una più completa conversione del cuore umano.

4 MA GUARISCE DAVVERO QUESTA MEDICINA?
L’esperienza dice che l’efficacia di trasformazione e di salvezza di questa parola di assoluzione non è sempre visibile e verificabile. Molti cristiani vi hanno trovato per molto tempo un certo senso di sollievo e di pace, ma hanno l’impressione di non essere riusciti a fare un solo passo avanti nella lotta contro i loro peccati. Ogni volta confessano le stesse colpe. E alla fine si domandano se il gioco valga la candela, se la confessione sia una medicina in grado di guarire il peccato o non soltanto una droga capace di tranquillizzare momentaneamente la coscienza.
Così molti finiscono per abbandonare la lotta.
Il problema è molto serio. Se la parola di assoluzione concede veramente un perdono che non è solo un condono ma una trasformazione reale, perché allora restiamo sempre gli stessi? Perché chi si confessa non è (o non appare) sempre molto migliore di chi non lo fa?
Rispondiamo che la grazia del perdono non può fare violenza alla nostra libertà; non può operare la sua trasformazione vittoriosa se non nella misura in cui noi ci apriamo alla sua azione liberatrice. Ci sono poi dei casi in cui l’esecuzione materiale della confessione non è accompagnata da un sincero pentimento. Altre volte si sente il disagio del proprio peccato, ma non si vuole veramente abbandonare la sua schiavitù. Molte volte il pentimento ha tutta l’apparenza della sincerità, ma ci si sente impotenti davanti al dominio del peccato in noi, ci si sente malati di una malattia che la confessione non sembra capace di guarire.

La grazia opera nel perdono
La grazia che ci perdona cambiandoci, non opera negli strati più superficiali della nostra personalità (ai livelli degli istinti, delle abitudini, della memoria, delle emozioni,...); per questo non possiamo sentirla, non possiamo verificarne la presenza e l’azione in maniera sperimentale. Essa opera nel più profondo della nostra libertà, dove siamo soli davanti a Dio e dove prendiamo le decisioni fondamentali della vita. È a partire da questo livello profondo della libertà che la grazia influisce, indirettamente, in tutti gli altri strati più superficiali della psiche. Su questi strati superficiali la nostra libertà esercita una padronanza solo parziale. Così le scelte particolari e il comportamento esterno della persona non nascono soltanto nelle sue intenzioni profonde, ma anche dai tanti condizionamenti (abitudini, pulsioni, istinti,... ) cui è soggetta. Ma deve essere chiaro che la persona è veramente responsabile solo di ciò che vuole con piena libertà. Per questo non tutti i comportamenti oggettivamente immorali di una persona sono sempre anche soggettivamente colpevoli. Non sempre ciò che è materialmente peccaminoso è peccato in senso totale e pieno, non sempre è un vero no della libertà a Dio; esso è solo il segno che la lotta contro il peccato, per quanto sincera e volenterosa, non ha ancora ottenuto il successo. Quasi mai si avrà la vittoria piena in questa vita: i nostri vizi moriranno tre giorni dopo di noi. Ma non per questo la confessione è stata inutile.

La confessione è segno che combatto
La confessione serve soprattutto a garantire che la nostra lotta contro il peccato è seria e non illusoria e proprio per questo le nostre cadute sono meno colpevoli o non colpevoli. Essa è segno che noi siamo spiritualmente vivi, che combattiamo, che non ci rassegniamo alla schiavitù del peccato. E questa è in fondo la nostra vittoria. Se combattiamo siamo già, in un certo senso, vincitori. Se continuiamo a impegnarci è perché l’amore di Dio continua a operare in noi anche attraverso la grazia del sacramento.
Al di là di tutte le mie sconfitte, anche umilianti, Dio mi tiene sempre saldamente nelle sue mani perché è mio Padre.
- Fine -

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