venerdì 22 luglio 2011
2. Chi non vive per dare, per amare, sciupa la sua esistenza.
Chi non vive per dare, per amare, sciupa la sua esistenza.
Ascoltiamo il poeta Tagore:
Perché la lampada si spense?
La ricoprii col mantello
per ripararla dal vento,
ecco perché la lampada si spense.
Perché il fiore appassì?
Con ansioso amore
me lo strinsi al petto,
ecco perché appassì.
Perché il ruscello inaridì?
Lo sbarrai con una diga
per averlo solo per me,
ecco perché il ruscello inaridì.
Perché la corda dell’arpa si spezzò?
Tentai di trarne una nota
al di là delle sue possibilità,
ecco perché la corda si spezzò.
Diamo un’occhiata alla nostra vita e al senso che deve avere, per non trovarci sul viale del tramonto impreparati e a mani vuote. ...
Bisogna morire per vivere e per far vivere. Il grano muore per diventare pane; il pane muore per diventare carne. Così noi dobbiamo morire a noi stessi per vivere per gli altri, per vivere agli altri e negli altri.
Che cos’è il matrimonio se non morire nella mia vita per me e vivere per l’altro? Che cosa è la paternità-maternità se non il morire al nostro egoismo a due per dare la vita ai figli? Che cosa vuol dire essere utile agli altri se non morire alla mia pigrizia, alla mia tranquillità, alle mie pantofole? Se muoio alla mia ingordigia, allora la terra sarà meno ingiusta. Se muoio alla mia volontà di sfruttamento, allora divento servizio, come Cristo che non è venuto per essere servito ma per servire.
Come potete constatare, il mistero della morte è quotidianamente all’angolo della nostra strada. Il segreto della buona morte si nasconde nella vita di ogni giorno. Bisogna riconoscerlo, sorridergli, tendergli le mani, dargli un significato eterno: tutto questo significa imparare a ben morire. Ascoltiamo l’apostolo Paolo: Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi (Rm 14,7-9).
D’altra parte sarebbe un’aberrazione, un atteggiamento ridicolo, un comportamento da scemi passare la vita a nasconderci la morte. Quale grande differenza esiste fra il vivere e il morire? Moriamo ogni momento perché morire significa perdere la vita, e noi la perdiamo istante dopo istante.
Dobbiamo ripeterci senza farfugliare le parole, ma con voce chiara e tono forte, la massima antica: Cotidie morior: muoio ogni giorno.
Amando lucidamente la vita, amerò anche la morte, mia sorella morte, sora nostra morte corporale. Amerò la morte non per se stessa (perché in sé e per sé è solamente detestabile) ma per il volto d’amore che ha preso sulla croce di Cristo.
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