Un tempo, il morente non doveva essere privato della sua morte. Doveva essere lui a presiederla. Come si nasceva in pubblico, si moriva in pubblico. Quante incisioni e quanti quadri del passato ci riproducono tale scena. Dal momento in cui uno giaceva a letto, malato, la stanza si riempiva di gente, parenti, amici, vicini, appartenenti a confraternite e anche gli stessi nemici e coloro che avevano qualcosa da perdonare o da farsi perdonare venivano a regolarizzare le situazioni perché lui morisse in pace e loro potessero continuare a vivere nella pace. Quando per la strada i passanti incontravano il prete che portava il viatico, la buona gente lo seguiva fino alla camera del morente, anche se costui era uno sconosciuto. L’avvicinarsi della morte trasformava la camera del moribondo in una sorta di luogo pubblico. Al centro, presiedeva l’avvenimento lui stesso, il morente. …
Ai giorni nostri, il libero pensiero, il sentimentalismo e altri pensierini da quattro soldi hanno camuffato la morte. Il dovere di mentire ha sostituito quello di avvertire il morente. Si gioca quasi a rimpiattino con un malato serio che non ha nessuna voglia di scherzare e che spesso intuisce e capisce più di quanto non dimostri; ma pure lui, di solito sta al gioco, per non fare pena. Certamente sono cambiate alcune circostanze: si muore sempre più frequentemente all’ospedale e sempre meno a casa propria, dove solo era possibile vivere una liturgia familiare e cristiana della morte. Ma dobbiamo anche dire, senza peli sulla lingua, che si muore sempre più all’ospedale perché non si vogliono fastidi e complicazioni riportando il morente a casa sua: non se ne vede l’utilità per nessuno.
Anche i bambini non incontrano più la morte. Non bisogna traumatizzarli! Si dice con aria da psicologi consumati. Oggi i bambini, fin dalla più tenera età, sono iniziati alla fisiologia dell’amore e delle nascite, ma quando non vedono più il loro nonno e ne domandano la ragione si risponde che è partito per un lunghissimo viaggio o che è andato a fare delle vacanze prolungate in un bel giardino pieno di fiori. Non sono più i bambini che nascono sotto i cavoli, ma sono i morti che scompaiono tra i fiori.
Un tempo la ragazzina non sapeva come nascevano i bambini, ma sapeva che la nonna era in cielo; oggi la bambinella sa come si fa un figlio, ma non sa più dov’è andata a finire la nonna.
È questa la nostra civiltà di pubblicità e di consumo: negare la vecchiaia, nascondere la morte, vestirla, truccarla, per renderla estranea o irriconoscibile; mentre, invece, per vincerla deve essere affrontata lucidamente, vissuta attivamente, come ha fatto Cristo, con Cristo. Ecco qui il punto. Ecco qui l’esempio da imitare per il cristiano: egli deve vivere come Cristo e morire come Cristo. E Gesù è andato incontro lucidamente alla sua morte. Leggiamo nel vangelo di Marco: Gesù incominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare (Mc 8,31).
Si tratta, dunque, d’una morte guardata in faccia e accettata lucidamente; anzi molto di più: una morte offerta. Dice Gesù: Il buon pastore dà la vita per le sue pecore (Gv 10,11); Il Figlio dell’uomo è venuto... per dare la propria vita in riscatto per tutti (Mc 10,45).
In questa morte d’amore Dio Padre riconosce il proprio Figlio. Lo dice Gesù: Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso (Gv 10,17-18).
È tradito, ma lo sa. È sorvegliato e ricercato, ma non si nasconde. È arrestato ma non tenta di difendersi e di fuggire. A quelli che andarono ad arrestarlo, chiede: Cercate Gesù di Nazaret? Sono io!
Non per questo la morte gli è meno spiacevole che a voi e a me. La prospettiva della morte lo turba profondamente. Dice: Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! (Gv 12,27). Quindi prega con convinzione: Padre, sia fatta la tua volontà e muore di morte atroce.
Ma muore con dignità: con la dignità di un uomo-Dio. Cristo, dunque, va verso la propria morte lucidamente, amorosamente; le dà un senso, la presiede sovranamente, la pilota verso un traguardo ben preciso: la sua offerta è del tutto volontaria: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito (Lc 23,46). Come vedete c’è modo e modo di morire. Esiste una netta differenza tra la morte subìta come al mattatoio e quella offerta come Cristo sulla croce, la morte cristiana.
Un proverbio dice: Tale la vita, tale la morte. Applichiamo il proverbio. Per dare la morte al Padre e agli altri, come ha fatto Gesù, dobbiamo innanzitutto dare loro la nostra vita. Chi conserva la propria vita, la perderà ha detto Gesù.
Bisogna vivere per amore, per morire per amore. Bisogna vivere da altruisti per poter morire da altruisti, perché la morte è il gesto più grande e definitivo dell’amore: ci si dà completamente a Dio e agli altri.
- segue -
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